Urali 2013

DiScintilena

Gen 15, 2013

Inviato da Giovanno Badino

Urali settentrionali, 600 km a nord di Ekaterinburg, sul lato orientale della catena, alla latitudine di 61°. Zona conquistata alla Russia nel XVI secolo, un tempo abitata dalla popolazione dei Mansi, che ora è quasi scomparsa.
Era –e in parte è ancora- una zona di lager in cui i deportati lavoravano nelle miniere o, proprio qui nella zona di Izhvest, al taglio di alberi.
Questo ha reso l’area relativamente accessibile, sia pure con fuoristrada e l’ha fatta entrare nel mondo della speleologia.
In quella zona c’è una striscia di calcari poco potenti, larga 3-5 km ed estesa da nord a sud per oltre 100 km. Gli speleologi di Ekaterinburg se ne occupano dal 2007, e sinora vi hanno reperito qualche decina di cavità, la maggiore delle quali, la “Severnaja”, è di circa 3 km.
E’ oggetto di rado interesse turistico per la caccia, per i giri in skydoo e ora per la speleologia.
Due anni fa la zona di base per le escursioni (Vishai, una conca occupata da un lager sino al 1990) è stata devastata da un incendio che ha distrutto le infrastrutture edificate, che ora sono in lenta ricostruzione.
Vi arriviamo la sera del 3 gennaio dopo 12 ore di viaggio da Ekaterinburg in quattro speleologi, per fare campionamenti e ricognizione in questa stagione. La notte è fonda, e d’altra parte il giorno (cioè in genere una luce crepuscolare) dura meno di sei ore, e questo limiterà assai l’azione.
La temperatura tende al fresco, -35 °C.
Bivacchiamo in una delle strutture, mentre in un carrozzone a lato c’è un ex-deportato polacco che si è adattato ai luoghi e fa la guida, e poco sotto c’è una casa con quello che è il gestore del tutto. L’indomani ci affrettiamo a completare la logistica e a fare un giro in zona, in un freddo satanasso. L’area sembra essere un antico altopiano tagliato da corsi d’acqua che vi hanno scavato un mondo. Le grotte, sia qui che dove andremo, sono generate da perdite dei fiumi e in genere sono accessibili proprio dalle loro rive.
Qua e là ci sono resti di reticolati, scritte, in un punto c’era una grotta dove le guardie carcerarie andavano ad ubriacarsi e quindi è stata fatta saltare.
L’indomani mattina (il sole sorge alle 11…) per fortuna fa caldo, -25°C, quindi il viaggio in skydoo sarà sopportabile. Casimir, la guida, ci scarica un’ora e mezza dopo a una quindicina di chilometri verso sud-ovest, fra i monti, e subito ci affrettiamo nel bosco e poi giù dall’altopiano verso il fiume prima che scenda la notte.
Camminiamo mezz’ora nella neve e poi Genja comincia a rovistare in mezzo ad uno sfasciume di tronchi caduti alla base di una paretina, sino ad aprire l’ingresso della grotta che ci ospiterà per due notti. La Severnaja, appunto.
L’ingresso è assai stretto e inghiotte violentemente l’aria ormai notturna. Facciamo passare i materiali e poi entriamo, in un’ampia galleria coperta di deposizioni di ghiaccio. Poco oltre ci sono zone in piano e soprattutto, acqua liquida…
Sistemiamo il campo e andiamo a fare un giro nella grotta, davvero notevole.
Intanto è calda, circa +5 °C e questo di per sé è interessante, perché la temperatura media esterna annuale è di circa -1°C. Il fatto è che le precipitazioni qui avvengono soprattutto d’estate (l’inverno è così freddo che c’è poco vapor d’acqua nell’aria, e quindi nevica pochissimo) e quindi le acque che si infiltrano sono “calde”…
Questo, per inciso, rende pericoloso camminare sul fiume ghiacciato perché qua e là ci sono sorgenti “calde” che possono fare brutti scherzi.
Inoltre la grotta è occupata da splendidi concrezionamenti bianchissimi, che appaiono molto, molto recenti. Ho l’impressione che ci sia stato qualche cambio recente (piogge acide o simili) che ha rinnovato l’aspetto di questa grotta, sennò fangosa.
In un paio di punti ci avviciniamo ad altri ingressi e pare di entrare in un altro mondo: la temperatura precipita in modo spettacolare, tutto si copre di ghiaccio, pare di avvicinarsi alla tana di un mostro.
Passa una lunga notte e usciamo in ghiacciaia a fare un giro delle grotte circostanti. Ne visitiamo parecchie, occupate d’estate dall’acqua, ora dal ghiaccio. In una, in un ramo laterale in mezzo al ghiaccio, in un freddo tremendo, ecco una pozza di acqua liquida e profonda: evidentemente è una finestra su acque scorrenti nella montagna.
In un’altra c’è una struttura di legni che, ci racconterà Casimir, dei deportati avevano fatto per mettere al sicuro una capra che avevano catturato.
Un’altra è piena di tronchi tagliati. Mi tornano alla mente le spiagge delle Svalbard, in cui si trovano innumerevoli di questi stessi tronchi siberiani, tagliati decenni fa, che sono spiaggiati dopo aver disceso enormi fiumi e attraversato l’oceano artico. Ecco, era da posti come questi che hanno iniziato il viaggio.
Concludiamo la breve giornata con una visita ad uno spettacolare doppio arco naturale, poi rientriamo nel caldo della grotta Severnaja.
Il giorno dopo ancora un paio di ricognizioni in grotta e poi foto
dall’altopiano con finalmente un bel sole a mezzogiorno, a 6° dall’orizzonte. In lontananza si vedono foreste e neve e calcari e carsismo a perdita d’occhio in uno spazio immenso.
Poi il rumore di un motore che si avvicina ci annuncia che l’ora d’aria è finita.

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