Continuano le manifestazioni all’interno del Parco regionale della Vena del Gesso contro l’ampliamento della cava di Monte Tondo
“In cammino per salvare la Vena del Gesso romagnola” domenica 20 giugno con una catena umana che si articolerà lungo i crinali del Parco. Il ritrovo è previsto alle 17.30 al largo Villa di Borgo Rivola, da cui si partirà per il sentiero CAI 705a per raggiungere Sasso Letroso.
Da qui alle 19 circa partirà la “catena umana” contro l’espansione della cava.
Proseguono le iniziative di protesta del comitato “Salviamo la Vena del Gesso” che in queste settimane ha organizzato diversi incontri e camminate per sensibilizzare i cittadini e la politica sull’attività estrattiva in corso nel Parco regionale della Vena del gesso.
Ci troviamo a Borgo Rivola, qualche chilometro prima di Casola Calsenio dove è operativa la Cava di Monte Tondo.
La multinazionale che ne è proprietaria ha richiesto di poter ampliare l’area estrattiva. Un ampliamento – spiegano dalla Regione – che avverrebbe al di fuori dalla zona del Parco, dove sono stati invece posti limiti precisi.
La zona, per la sua importanza geologica, è candidata a Sito Unesco.
“In cammino per salvare la Vena del Gesso romagnola” domenica 20 giugno con una catena umana che si articolerà lungo i crinali del Parco. Il ritrovo è previsto alle 17.30 al largo Villa di Borgo Rivola, da cui si partirà per il sentiero CAI 705a per raggiungere Sasso Letroso.
Da qui alle 19 circa partirà la “catena umana” contro l’espansione della cava.
Secondo il comitato “Salviamo la Vena del gesso” «L’intenso sfruttamento dell’area di Monte Tondo iniziato nel lontano 1958 ha determinato un impatto ambientale devastante ed irreversibile. I sistemi carsici, come la grotta di re Tiberio, presenti all’interno della montagna sono stati intercettati e danneggiati dalla cava, l’idrologia sotterranea è stata irreparabilmente alterata; i tratti fossili di tali cavità hanno subito pesanti mutilazioni. Anche le morfologie carsiche superficiali sono state in massima parte distrutte; l’arretramento del crinale nonché la regimazione delle acque esterne hanno pesantemente alterato anche l’idrologia di superficie».
I manifestanti sottolineano come «nonostante i molti anni a disposizione», le amministrazioni locali non si sarebbero preoccupate «di chiedere e sostenere la necessaria riconversione dell’attività produttiva in grado di salvaguardare gli aspetti occupazionali e sociali conseguenti alla chiusura del polo estrattivo. Chiediamo – termina la nota – che il futuro di queste vallate non sia la distruzione indiscriminata di quanto vi è di più prezioso, ma un’attenta conservazione di questi straordinari ambienti che l’ultimo “Piano Infraregionale delle Attività Estrattive”, considera “patrimonio naturale unico dal punto di vista geologico/speleologico, naturalistico, paesaggistico ed archeologico».