La scoperta è avvenuta sulla Majella, nel territorio di Roccamorice (PE), in località Torretta. Gli speleologi Gabriele La Rovere, dello Speleo Club Chieti, e Gianluca Cassano, entrambi del Gruppo di ricerca di Archeologia Industriale della Majella, mentre esploravano un angusto e complicato meandro di una grotta naturale, hanno intercettato una galleria che si è rivelata una miniera di bitume! L’esplorazione successiva, la prima sistematica dentro la miniera, ha richiesto attrezzature specifiche e ha visto la partecipazione della speleologa Antonella Salomone; sono state compiute le rilevazioni e la documentazione fotografica che ne ha svelato l’incredibile bellezza e ricchezza di infrastrutture. Si è provveduto infine a richiudere lo stretto e pericoloso passaggio naturale per ripristinare le originali condizioni di sicurezza e restituire alla montagna ciò che per molti anni ha nascosto e custodito!
Emidio D’Ascanio, profondo conoscitore della zona, ci ha rivelato che era la Miniera di Torretta. Questa è da anni murata tant’è che il suo interno si è perfettamente conservato e difeso dalla frequentazione umana. Straordinaria e suggestiva la lunga, immobile, silenziosa fila di carrelli, testimonianza del duro e faticoso lavoro dei nostri avi in quel luogo buio ed inospitale. Nell’aria, polverosa al passaggio degli speleologi, più che tangibile la sensazione di aver profanato un luogo sacro, misterioso nel suo gelido ed oscuro silenzio.
L’importante esplorazione è frutto dello studio che il Gruppo di ricerca di Archeologia Industriale della Majella conduce da alcuni anni sugli aspetti naturalistici e antropici della nostra montagna madre per la ricostruzione storica del vissuto umano locale e che ha condotto il gruppo a primavera a localizzare nel territorio di Roccamorice la Miniera di Santo Spirito di Ripa Rossa, di cui si erano perse le tracce, e a scoprire La Grotta della Lupa, la più estesa della Majella stessa. Inoltre è stata ritrovata la Miniera di Pignatara nel territorio di Manoppello, che le memorie storiche avevano dato per perduta perché sepolta dallo scavo di una cava sovrastante.
Il versante del massiccio compreso tra Scafa, San Valentino, Manoppello, Lettomanoppello, Abbateggio e Roccamorice, è di particolare interesse storico-archeologico-industriale. Le prime tracce dello sfruttamento minerario risalgono a duemila anni fa quando l’impero romano cavava materiali nella zona. Nei secoli successivi l’attività estrattiva è testimoniata dalla presenza pionieristica di piccoli imprenditori locali, ma è in epoca moderna, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, che venne organizzata in forma industriale e fece del bacino minerario uno dei giacimenti di bitume e rocce asfaltifere tra i più importanti d’Italia. Lo sfruttamento intensivo iniziò con l’imprenditore teatino Silvestro Petrini, a partire dal 1844, e successivamente vide l’interessamento di molteplici aziende minerarie soprattutto straniere tra le quali è necessario ricordare la tedesca Reh e C., e l’inglese Nac, assorbite nel corso della prima e della seconda guerra mondiale dall’italiana Sama, ancora oggi esistente e in concessione all’Italcementi nello stabilimento di Scafa.
L’eredità di questa grandiosa attività estrattiva, giunta oggi a noi Abruzzesi, ai più misteriosa e sconosciuta, è custodita nelle memorie dell’ultima generazione di minatori. Della ventina di miniere censite, alcune nel territorio del Parco Nazionale della Majella, restano centinaia di gallerie sotterranee strutturate anche su molteplici livelli sovrapposti: chilometri di binari, carrelli, bunker sotterranei, montacarichi, tramogge, stazioni di carico, il tutto inesorabilmente abbandonato a se stesso. La meravigliosa testimonianza dell’alacre e duro lavoro dei minatori d’Abruzzo va scomparendo perché la montagna si sta riappropriando del suo territorio cancellando a poco a poco le tracce del vissuto umano legato all’estrazione mineraria.
Gabriele La Rovere