La scoperta è avvenuta al confine tra i territori di Serramonacesca e Manoppello, nel comprensorio delle miniere abbandonate di bitume e asfalto.
Tre speleologi abruzzesi del GRAIM, Gruppo di Ricerca di Archeologia Industriale della Majella e dello Speleo Club Chieti, durante le ricerche di gallerie minerarie abbandonate, hanno rinvenuto 10 piccole cavità poste a breve distanza l’una dall’altra.
La scoperta del probabile cenobio eremitico è tutt’ora al vaglio della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Abruzzo e del Parco Nazionale della Majella.
La scoperta è avvenuta al confine tra i territori di Serramonacesca e Manoppello, in provincia di Pescara, nel comprensorio delle miniere abbandonate di bitume e asfalto.
Tre speleologi abruzzesi del GRAIM, Gruppo di Ricerca di Archeologia Industriale della Majella e dello Speleo Club Chieti, durante le ricerche di gallerie minerarie abbandonate, hanno rinvenuto nell’alveo di un fosso 10 piccole cavità artificiali poste a breve distanza l’una dall’altra in uno spazio totale di circa 700 metri.
Gli ipogei presentano caratteristiche simili tra loro tanto da ritenere che si tratti di un’opera di scavo unica; inoltre in uno di essi sono presenti due nicchie e in un altro una croce incisa.
La zona rientra nel territorio del Parco Nazionale della Majella. Successivamente in un altro fosso nelle vicinanze, nel territorio di Serramonacesca, sono state ritrovate altre 2 cavità con le medesime caratteristiche.
La scoperta è tutt’ora al vaglio della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Abruzzo e del Parco Nazionale della Majella; c’è la possibilità che si tratti un cenobio eremitico.
L’importante scoperta è frutto dello studio che il GRAIM conduce da alcuni anni sugli aspetti naturalistici e antropici della Majella per la ricostruzione storica del vissuto umano locale e che ha condotto il gruppo nel 2015 a localizzare nel territorio di Roccamorice la miniera di Santo Spirito, di cui si erano perse le tracce, e a scoprire al suo interno la Grotta della Lupa, che si è rivelata la più estesa della Maiella e su cui il Parco Nazionale con enti ed associazioni sta coordinando uno studio scientifico su 15 ambiti diversi.
Il GRAIM, è autorizzato formalmente dall’Agenzia del Demanio – Direzione Regionale Abruzzo e Molise, dalla Regione Abruzzo – Servizio Risorse del Territorio ed Attività Estrattive, e dal Parco Nazionale della Majella, per “Avvicinamento e sopralluogo ai siti di interesse minerario ai fini di studio ed informazione”; inoltre è in atto una fattiva collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Abruzzo.
Il versante del massiccio compreso tra Scafa, San Valentino in Abruzzo Citeriore, Manoppello, Lettomanoppello, Abbateggio e Roccamorice, ma anche Tocco da Casauria, Caramanico, Turrivalignani, Bolognano, Serramonacesca e Popoli, è di particolare interesse storico-archeologico-industriale.
Le prime tracce dello sfruttamento minerario sulla Maiella risalgono al Neolitico; un panetto di bitume rinvenuto nel comprensorio è stata datato circa 4700 a.C.; ma è stato rinvenuto un altro panetto risalente a duemila anni fa che attesta che l’impero romano cavava questo materiale nella zona. Nei secoli successivi l’attività estrattiva è testimoniata dalla presenza pionieristica di piccoli imprenditori locali, ma è in epoca moderna, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, che venne organizzata in forma industriale e fece del bacino minerario uno dei giacimenti di rocce asfaltiche e rocce bituminose tra i più importanti d’Italia.
Lo sfruttamento intensivo iniziò a partire dal 1844 dall’imprenditore teatino Silvestro Petrini e successivamente dal toccolano Donato Paparella; in seguito vide l’interessamento di molteplici aziende minerarie soprattutto straniere tra le quali è necessario ricordare almeno la tedesca REH e C., e l’inglese NAC, assorbite nel corso degli anni dall’italiana SAMA. L’eredità di questa grandiosa attività estrattiva, giunta oggi a noi abruzzesi, ai più misteriosa e sconosciuta, è custodita nelle memorie dell’ultima generazione di minatori. Della ventina di miniere censite, alcune nel territorio del Parco Nazionale della Majella, restano centinaia di gallerie sotterranee strutturate anche su molteplici livelli sovrapposti: chilometri di binari, carrelli, bunker sotterranei, montacarichi, tramogge, stazioni di carico, stabilimenti e centrali idroelettriche, il tutto inesorabilmente abbandonato a se stesso. La meravigliosa testimonianza dell’alacre e duro lavoro dei minatori d’Abruzzo va scomparendo perché la montagna si sta riappropriando del suo territorio cancellando a poco a poco le tracce del vissuto umano legato all’estrazione mineraria. Un importante progetto per la valorizzazione futura dell’intero comprensorio è stato recentemente avviato dell’Agenzia del Demanio in collaborazione con la Soprintendenza, il Parco Nazionale, la Regione, la Provincia e l’ANCI.