Un giacimento paleontologico unico al confine tra Bergamasca e provincia di Sondrio

Un escursionista ha scoperto per caso un ricco giacimento paleontologico sulle Orobie, al confine tra Bergamasca e provincia di Sondrio.

Il sito, che conserva orme di anfibi e rettili, piante, semi e persino gocce di pioggia fossilizzate, è stato studiato da esperti e presentato al Museo di Storia naturale di Milano. La scoperta offre una finestra sul Permiano, l’ultimo periodo dell’era paleozoica.


La scoperta

Custodito dalle rocce nelle terre altissime delle Orobie per 280 milioni di anni, nei mesi scorsi, a causa del restringimento della copertura di neve e ghiaccio dovuto ai cambiamenti climatici, è venuto alla luce un giacimento paleontologico di grande importanza.

Questo sito, situato al confine geografico tra Bergamasca e provincia di Sondrio, conserva orme di anfibi e rettili, ma anche piante, semi, impronte di pelle e persino gocce di pioggia fossilizzate.

Il luogo del ritrovamento

La scoperta è avvenuta nel Comune di Piateda, in provincia di Sondrio, al confine con l’Alta Val Seriana e l’Alta Val Brembana, nel territorio di Valbondione. Il sito si trova tra il Pizzo Redorta, il Pizzo del Diavolo di Tenda e il Monte Aga.

A imbattersi nella prima traccia fossile è stata un’escursionista di Lovero, Claudia Steffensen, mentre percorreva un sentiero di quota. Da lei è partito lo studio che è stato presentato nella sala del Museo di Storia naturale di Milano.

Lo studio e la collaborazione

L’escursionista ha raccontato il ritrovamento all’amico fotografo, Elio Della Ferrera, che è andato sul posto a scattare alcune foto, inviate poi a Cristiano Dal Sasso, paleontologo del Museo di Storia naturale di Milano.

Da qui sono iniziati gli studi di due specialisti in sedimentologia e icnologia: Ausonio Ronchi, dell’Università di Pavia, e Lorenzo Marchetti, del Museum für Naturkunde di Berlino.

È stato coinvolto anche il Parco delle Orobie valtellinesi e la Soprintendenza competente.

Le “camminate” fossili

I sopralluoghi iniziati nell’estate del 2023 hanno portato a mappare centinaia di tracce fossili, a quasi tremila metri di quota, proprio sulle pareti verticali del Pizzo del Diavolo di Tenda, del Pizzo dell’Omo e del Pizzo Rondenino, ma anche negli accumuli di frana sottostanti.

Le orme di tetrapodi (rettili e anfibi) e invertebrati (insetti) sono ancora allineate a formare delle piste, indizio che ha permesso la loro datazione: questo tipo di camminate avveniva infatti nel Permiano, l’ultimo periodo dell’era paleozoica, che va da 299 a 251 milioni di anni fa.

La conservazione delle tracce

Come le orme di questi animali abbiano potuto fissarsi sulla pietra al punto da resistere per milioni di anni è stato spiegato da Ausonio Ronchi: «Le impronte sono state impresse quando queste arenarie e argilliti erano ancora sabbie e fango intrisi di acqua, ai margini di fiumi e laghi che periodicamente, secondo le stagioni, si prosciugavano. Il sole estivo, seccando quelle superfici, le induriva al punto tale che il ritorno di nuova acqua non cancellava le orme, ma anzi, le ricopriva di nuova argilla formando uno strato protettivo».

Il “masso zero”

Il “masso zero”, così chiamato perché è stato il primo fossile scoperto, è proprio una porzione di una riva di lago fossile, che conserva dettagli finissimi delle increspature prodotte da onde, su cui ha camminato un piccolo rettile, il Dromopus, che ha lasciato le orme di zampe e coda.

«La grana finissima dei sedimenti, ora pietrificati, ha permesso la conservazione di dettagli come le impronte dei polpastrelli e della pelle del ventre di alcuni animali», ha aggiunto Lorenzo Marchetti.

La paleo-biodiversità

Forma e dimensioni delle tracce indicano una qualità di preservazione e una paleo-biodiversità notevole, probabilmente superiore a quella osservata in altri giacimenti della medesima età geologica.

Oltre alle tracce animali, in Val d’Ambria, valle secondaria della Val Veniva, sono presenti anche fossili vegetali (fronde, frammenti di fusti e semi). Interessanti, secondo gli studiosi, anche le fratture di disseccamento del suolo, le increspature d’acqua e le impronte di gocce di pioggia.

Il salvataggio dei primi fossili

Il salvataggio dei primi fossili è avvenuto il 21 ottobre: un’operazione acuine che ha permesso di preservare questi preziosi reperti.

Stefano Rossi, della Soprintendenza, ha dichiarato: «Il giacimento fossilifero scoperto in Val d’Ambria rappresenta un insieme di fattori geologici e paleontologici che deve essere studiato e tutelato. Questo nuovo geosito può diventare un importante caso di studio e trasformarsi in una palestra per ricercatori e studenti, nonché in un caso virtuoso di valorizzazione del patrimonio paleontologico da attuare anche con il supporto di privati».

Fonte: L’Eco di Bergamo