Per trovare nuovi importanti monumenti, rafforza il numero di porte che LiDAR sta aprendo. Stiamo scoprendo caratteristiche che non riuscivamo a percepire nemmeno camminandoci sopra” Edwin Román-Ramírez, archeologo
Foto di copertina: Luigi Abisso (2016) – nel cuore della giungla guatemalteca Tikal, uno dei principali siti della civiltà Maya
Di Marina Abisso
Il mondo creato dai Maya è stato avvolto dalla giungla per secoli: raggi laser e droni ora sfiorano le rovine e rivelano molto più di quanto si sarebbe potuto immaginare.
Chi erano i Maya? Credo che ognuno di noi, da bambino, abbia sognato almeno una volta di diventare archeologo e decodificare i segreti dell’antica civiltà piramidale, che ha regnato su gran parte dell’America Centrale fino al suo crollo.
DOC SAVAGE, “La piramide d’oro” e “Il pericolo dell’oro”
Personalmente, ho iniziato a sognare i Maya a metà degli anni 70, leggendo fantascienza con mio fratello, quando è uscita la serie Urania di Doc Savage, che riprendeva le edizioni del 1930 di Kenneth Robeson (alias Lester Dent).
“La piramide d’oro” e “Il pericolo dell’oro” vedevano l’Uomo di bronzo, eclettico Ercole con un cervello da Aristotele e un disinteresse per le donne da Socrate, aggredito da un misterioso individuo che somigliava ad un antico Maya e parlava una lingua morta.
Si scopriva poi che Doc era erede di un tesoro nascosto nella perduta Valley of the Vanished, situata nella giungla di Hidalgo, nel Centro America.
Lì si recava, incontrava alcuni discendenti Maya e si innamorava senza speranza di una di loro, a questa è un’altra storia.
Per inciso, Doc Savage aveva un fan club che rilasciava il certificato di Savagery e il diritto di utilizzare il titolo di “Doc” prima del cognome: il mio certificato di Savagery è stato appeso al muro ben prima della laurea.
I discendenti Maya esistono, nella realtà, e mantengono vive molte tradizioni, un segno di resilienza.
LA SCOPERTA
Già nel 2018 National Geographic rivela, a firma di Tom Clynes, scrittore e fotoreporter, che le scansioni laser stanno svelando una “megalopoli” Maya sotto la giungla guatemalteca: una vasta rete interconnessa di città antiche che ospitava milioni di persone in più, rispetto a quanto si pensava in precedenza.
Il progetto mappa più di 800 miglia quadrate (2.100 chilometri quadrati) della Riserva della Biosfera Maya, nella regione di Petén in Guatemala, producendo il più grande set di dati LiDAR mai ottenuto per la ricerca archeologica.
L’EVOLUZIONE DEL PROGETTO
Ora, nell’affascinante articolo del numero di marzo 2024 di National Geographic, Tom Clynes, con le foto e i video di Rubén Salgado Escudero, testimonia i decenni trascorsi al lavoro nelle giungle dell’America Centrale. I due archeologi sono esploratori di National Geographic, con incarichi di ricerca presso l’Università di Tulane.
Caldo, umidità, animali selvatici e saccheggiatori armati hanno reso ardua la scoperta dei tesori degli antichi Maya, una civiltà fiorita per migliaia di anni e poi misteriosamente scomparsa sotto la fitta foresta.
Le vedute aeree già suggerivano le reali dimensioni dei centri abitati: ora il LiDAR, rimuovendo digitalmente la volta della foresta, ha rivelato che la città Maya si estendeva per più di sette miglia quadrate.
Pare incredibile, ma la più grande scoperta avviene a tavolino, anzi davanti ad un computer di New Orleans, con Marcello Canuto e Francisco G. Estrada-Belli, quest’ultimo un archeologo italoguatemalteco, cofondatore della Maya Archaeology Initiative: gli archeologi esaminano un’immagine aerea di un tratto di foresta nel nord del Guatemala, che all’inizio mostra solo le sommità degli alberi.
L’esame dell’immagine, realizzata con la tecnologia LiDAR (acronimo per “light detection and ranging”, quindi“rilevamento e portata della luce”), è illuminante: i dispositivi aerei producono miliardi di lampi laser verso il basso, misurando poi quelli che vengono riflessi.
La piccola frazione di impulsi che penetrano nel fogliame forniscono dati sufficienti per assemblare un’immagine del suolo della giungla.
Rimossa digitalmente la vegetazione, si scopre che la regione non è disabitata come si pensava, 1.100 anni fa: i pendii erano scolpiti con bacini artificiali, terrazzamenti agricoli e canali di irrigazione costruiti dall’uomo, le piccole montagne erano grandi piramidi sormontate da edifici cerimoniali, gli insediamenti prima ritenuti dagli archeologi capoluoghi di regione erano sobborghi di città precolombiane molto più grandi, collegate da strade percorribili e sopraelevate.
Lo stato d’animo degli archeologi è pari a quella degli astronomi che, per la prima volta, hanno scoperto, guardando attraverso il telescopio Hubble, che lo spazio vuoto del cosmo brulica di stelle e galassie: la giungla, che si pensava vuota, presenta ovunque tracce umane.
La tecnologia LiDAR guida ora l’archeologia Maya verso siti promettenti, offrendo una visione d’insieme del paesaggio.
Una delle regioni meno ospitali della Terra finalmente svela il suo fondo.
Certo, ci sarà sempre bisogno di scavare per comprendere chi ha costruito le strutture, ma ora si saprà dove e come farlo.
UN’AUTOSTRADA DEL PASSATO
Le pianure Maya, ritenute un paesaggio poco popolato con poche città stato nettamente separate una dall’altra.
Le città stato, invece, ospitavano – si è scoperto – una civiltà interconnessa di dimensioni e complessità sorprendenti: una megalopoli Maya, con milioni di agricoltori, combattenti e costruttori di infrastrutture avanzate in modo straordinario.
A circa 40 miglia a nord-ovest di Tikal, la più estesa delle antiche città in rovina della civiltà Maya, nel dipartimento di Petén, l’archeologo Richard Hansen dirige le ricerche nell’antica città di El Mirador, un grande sito precolombiano.
Racconta il suo stupore quando il LiDAR ha svelato la presenza di una vera e propria antica superstrada.
La strada rialzata è ora coperta da mezzo metro di terra, ma secoli fa era rialzata di sei piedi sopra la palude circostante e pavimentata con stucco.
Parte di una complessa rete di strade che collega El Mirador a più di 400 antichi insediamenti si allarga avvicinandosi al centro della città, diventando ampia quanto una moderna autostrada a otto corsie.
Si ipotizza una popolazione composta da 10 a 15 milioni di persone nel regno Maya al suo apice, inclusi molti in regioni paludose che la maggior parte degli archeologi riteneva prima inabitabili.
Per costruire l’imponente piramide di El Mirador, alta circa 80 metri, centinaia e centinaia di operai hanno usato martelli e lame di ossidiana per tagliare e perforare il calcare, poi separato in blocchi rettangolari di oltre 400 quintali l’uno e trasportato con lettighe di legno.
Come potevano avere tutti da vivere? Oggi non sarebbe possibile, con l’attuale modo di coltivare.
Le pianure Maya hanno un ambiente molto sfavorevole per gli esseri umani: i pochi nutrienti del terreno sonoregolarmente spazzati via piogge torrenziali seguiti da siccità devastanti.
L’unica ipotesi percorribile è che l’aumento della popolazione a El Mirador sia stato reso possibile dal trasporto di fango fertile dalle paludi basse e dal deposito su terrazze scavate nei pendii delle colline.
Gli agricoltori aumentavano il pH aggiungendo calce al terreno, producendo abbondanti raccolti di mais, zucca, fagioli, peperoni e cotone.
In una regione afflitta da troppe o troppo poche precipitazioni, il flusso dell’acqua era attentamente controllato tramite canali, dighe, bacini idrici e terrazzamenti agricoli: un’immensa infrastruttura che ora sta venendo alla luce, e che adesso non sarebbe realisticamente applicabile.
Ma perché – ci si chiede – i Maya hanno poi abbandonato comunità così altamente funzionanti?
LiDAR PER IL PASSATO E PER IL FUTURO
Il LiDAR, importante per riscrivere il passato, potrebbe diventare ancor più rilevante per rimodellare il futuro della regione.
Il Guatemala è povero, ma possiede grandi tesori culturali ed ecologici: molti dei siti ora venuti alla luce potrebbero generare un’attività economica redditizia, culturale ed ecoturistica, utile per affrontare un percorso sostenibile fuori dalla povertà.
C’è una grande paura: molti dei siti appena scoperti non sono una novità per saccheggiatori dell’ambiente, taglialegna, accaparratori di terre, narcotrafficanti, che non aspettano altro che continuare l’assedio alla seconda più grande foresta pluviale tropicale delle Americhe.
Molti guatemaltechi temono di perdere la corsa ad alto rischio per proteggere i paesaggi e i tesori che potrebbero illuminare ancora di più le lezioni che gli antichi Maya hanno da insegnarci.
Gran parte del patrimonio culturale più importante del paese è custodito all’interno della Riserva della Biosfera Maya, un miscuglio di parchi nazionali, riserve naturali e concessioni forestali dove i residenti raccolgono legname e altri prodotti forestali.
Comprendendo circa un quinto del territorio del Guatemala, la riserva ospita giaguari, are e centinaia di altre specie di uccelli, farfalle, rettili e mammiferi.
Lo Stato non ha le risorse finanziarie per proteggere il patrimonio: sapere con precisione dove sono i siti potrebbe consentire agli archeologi di studiarli prima che possano essere saccheggiati.
E il saccheggio è una delle minacce che affligge, infatti, la Riserva della Biosfera Maya.
I coloni illegali spesso appiccano incendi per liberare la terra per gli allevamenti di bestiame, spesso utilizzati dai narcotrafficanti per il riciclaggio di denaro.
Molti hanno ricavato piste di atterraggio nella giungla per far atterrare gli aerei dei contrabbandieri.
Il governo del Guatemala sta compiendo sforzi per fermare la deforestazione (che ha ridotto le foreste secolari del paese di più del 20% in 20 anni) e recuperare il territorio occupato illegalmente, ma le risorse scarseggiano.
Il turismo culturale potrebbe essere un modo per incrementare tali risorse: in Messico, i siti Maya (Chichén Itzá e Palenque) attirano grandissimi numeri di visitatori ogni anno e muovono l’economia locale.
Una ferrovia ed un piccolo treno dedicato, ipotizza Richard Hansen, potrebbero portare turisti e ricercatori nei diversi siti, bloccando nel contempo gli intrusi indesiderati,saccheggiatori, narcotrafficanti e taglialegna.
I TIMORI DEGLI ABITANTI
Sebbene i progetti di tutela e sviluppo archeologici abbiano raccolto un certo sostegno dal governo del Guatemala, molti guatemaltechi, anche archeologi, temono un profitto personale dei proponenti.
Dicono che ci si sta appropriando del patrimonio culturale del Paese per trarre profitto personale trasformando le pianure Maya in un parco a tema archeologico.
Tra questi, l’archeologo Estrada-Belli di Tulane, che dirige un progetto archeologico specifico e sostiene che il piano appare più incentrato sul controllo di gran parte del paese che sul beneficio del popolo guatemalteco o della scienza.
Anche gli ambientalisti sono contrari all’idea di recintare la regione: temono che i locali, che dipendono dalle risorse naturali, siano esclusi da esse.
Certamente va seguita la strada dell’approccio pubblico-privato, per sostenere un turismo ecologico e culturale, fondamentali per la protezione dei luoghi, in modo rispettoso e sostenibile, con il coinvolgimento delle comunità locali.
Deve essere scongiurato il pericolo di sviluppare strade e altre infrastrutture nella fragile regione che possano essere usate anche per utilizzare la riserva della biosfera Maya per trasportare altri tipi di risorse, come gas naturale e petrolio.
LE SOLITE DOMANDE
L’imaging LiDAR, con il suo realismo 3D, ha reso molto più semplice immaginare il paesaggio degli antichi: le colline terrazzate, le ampie strade e le spaziose piazze, i palazzi, le officine e le torri di guardia.
Tutto ciò fa tornare alla solita grande domanda senza risposta: perché i Maya sono decaduti, abbandonando un’organizzazione così ben funzionante? Per ora, non c’è risposta univoca.
Forse gravi siccità hanno ridotto i raccolti in tutta la regione, con effetti deleteri sull’agricoltura e sulla salute dei Maya.
Forse la stessa crescita della popolazione, con il disboscamento, ha portato le aree al degrado ambientale.
Qualunque siano le cause, verso la fine del IX secolo i Maya abbandonarono i loro insediamenti.
Anziché continuare a costruire documenti, iniziarono a distruggerli, e il popolo pacifico sprofondò nella violenza e nella guerra, fino al collasso finale della società.
Lotte di potere? Siccità? Sovrappopolazione? Qualunque cosa sia accaduta ai Maya rimane un mistero, con indizi nascosti nella giungla.
E in quella giungla e in quel mondo c’è veramente tanto da scoprire, soprattutto ora che è cambiato il modo in cui li si guarda.
CONCLUSIONI
Le scoperte rese possibili dal LiDAR stanno rivoluzionando la nostra comprensione della civiltà Maya e del suo impatto sul paesaggio e sull’ambiente circostante.
Offrono non solo uno sguardo affascinante nel passato, ma anche importanti lezioni per il presente e il futuro.
È fondamentale che il Guatemala e la comunità internazionale si impegnino per proteggere e preservare i propri siti archeologici e la ricca biodiversità, affrontando le minacce della deforestazione, del saccheggio e dell’urbanizzazione non sostenibile.
Allo stesso tempo, l’opportunità di sviluppare un turismo culturale ed ecologico responsabile potrebbe offrire una via per la conservazione e la valorizzazione di un patrimonio straordinario, contribuendo anche al benessere delle comunità locali, abbracciando un approccio collaborativo e sostenibile.
In fondo, il tesoro culturale e storico appartiene all’intera umanità.
Marina Abisso
Speleo Club Ribaldone
9/4/2024
BIBLIOGRAFIA
Stone, A., 2005. Divine stalagmites: modified speleothems in Maya
caves and aesthetic variation in Classic Maya art. In Heyd, T., and Clegg, J. (eds.), Aesthetics
Haviland, William A. 1967 Stature at Tikal, Guatemala: Implications for Ancient Maya Demography and Social Organization.
American Antiquity 32(3): 316-325