I paleologi si interrogano sulle strane «coppelle» preistoriche Altari rudimentali o riproduzioni degli astri nella volta celeste?

Pubblicato su “Tuttoscienze” di Mercoledì 8 Ottobre, allegato a “La Stampa”
Tratto da TuttoScienze – www.lastampa.it

Articolo di MASSIMO CENTINI, pubblicato sotto licenza Creative Commons: clicca qui per conoscere i termini della licenza.

E’ uno dei miti più duri a morire, eppure non ha nulla di storico e spesso fa drizzare i capelli in testa agli archeologi seri. Ci riferiamo all’inossidabile tradizione che tende ad identificare come mappe celesti alcuni massi decorati con incisioni rupestri preistoriche.
In genere il tipo di graffito che prevale è quello costituto dalla cosiddetta «coppella», cioè una cavità di varie dimensioni scavata su rocce isolate, ma è anche presente in complessi più ampi dove vi sono altre tipologie di incisioni; inoltre, in alcuni casi, le coppelle sono collegate tra loro da una serie di cataletti incisi nella pietra che visivamente tendono a suggerire un’immagine definita, richiamante appunto la morfologia della mappa.
Gli archeologi dell’Ottocento erano convinti che i grandi massi con coppelle in realtà fossero resti di «altari druidici» destinati ai sacrifici: cavità e canaletti si sarebbero così colmati con il sangue delle vittime immolate a qualche oscura divinità. Anche questa è un’interpretazione che ha pesantemente risentito dell’influenza romantica, sempre ben disposta ad ammantare con l’aura del mito i documenti archeologici meno conosciuti e che è alla base della cosiddetta «archeologia fantastica».
Quell’archeologia che strizza l’occhio alla fantasia e determina alti livelli di share per le trasmissioni televisive in cui extraterresti e miti celtici si amalgamano in un’indissolubile tessuto apocrifo. «In genere sono soprattutto i cultori di astronomia a sostenere il legame incisione rupestre-mappe stellari, spesso però è gente a digiuno di nozioni archeologiche… », così stigmatizza Ausilio Priuli, direttore del Museo di Arte Preistoria di Capodimonte (Valcamonica).
L’archeologo continua: «L’associazione coppelle-stelle per taluni rimane un’ipotesi tra le tante e comunque la meno plausibile; questo tentativo di lettura e di interpretazione è nato in tempi relativamente recenti, come recente è la disciplina che se ne occupa.
Di certo, l’uomo della preistoria non aveva bisogno delle stelle per orientarsi ed i punti di riferimento erano “punti fermi” del territorio che frequentava».
Eppure sono molte le incisioni, in particolare le coppelle, ad essere relazionate all’astronomia. «Solo nel mondo alpino ne conosco migliaia, ma mai una volta le ho potute mettere in sicura relazione con costellazioni». Più prosaicamente, quegli strani graffiti a forma di piccola scodella forse non sono il risultato del bisogno di raffigurare qualcosa di specifico, ma espressioni religiose, «minori» rispetto alle incisioni di tipo figurativo? «È possibile, forse sono il segno tangibile del bisogno dell’uomo di comunicare con gli dei, gli spiriti, le forze della natura, gli antenati mitici e i propri congiunti trapassati; preghiere personali frutto di una tradizione animista».
Gli esempi sono moltissimi: si passa dalle coppelle sulle lastre tombali dell’Età del Bronzo, come ad esempio a Saint Martin del Corleans di Aosta alle coppelle che fanno i Sombà del Nord del Togo e del Benin in Africa Occidentale per chiedere aiuto agli antenati del villaggio.
E poi le coppelle sulla facciata di S. Zeno a Verona (fatte dall’XI secolo fino a pochi anni fa) che sono ex voto, fino alla pratica ancora oggi diffusa tra i pastori delle nostre Alpi, che incidono delle coppelle con la funzione di allontanare i fulmini dalle mandrie al pascolo.
Insomma, in un modo o nell’altro, spesso traslando il tutto sul piano simbolico, la coppella non perde questo suo strano cordone ombelicale con l’universo celeste? «È un legame indiretto – conclude Priuli – l’uomo preistorico, pur essendo fortemente attratto dal mondo celeste, in alcuni casi pur avendo eletto il sole a entità suprema, a dio della vita, era fortemente radicato alla terra, l’interesse astronomico per il cielo sarà successivo».
In sostanza parlare di mappe celesti preistoriche è un azzardo. Al momento sembra di sì, anche se siamo certi che l’interpretazione razionale ferisce la fantasia dei romantici che nel dedalo di coppelle e cataletti scelgono di vederci un mondo che probabilmente non è mai esistito.
Sul piano scientifico la ricerca comunque non si arresta e attualmente, accanto alla funzione eminentemente simbolica, si ipotizza che alcuni massi decorati con forme grafiche incise nella preistoria, forse costituivano una sorta di «mappa topografica» ante litteram.
Dal cielo si passa alla terra, ma il mistero comunque non si svela.

Stonehenge
Lourdes del Neolitico – Età del Bronzo – Dall’Europa all’Africa l’antichissima tradizione delle «coppelle» unisce continenti eculture diverse

ALTARI PER RITI DI SANGUE
Gli storici romantici vedevano scorrere il sangue nelle cavità dopo crudeli sacrifici umani

IStonehenge è stata costruita nel 2300 avanti Cristo – 300 anni prima di quanto finora pensato – e fungeva da centro di pellegrinaggio: una sorta di Lourdes del Neolitico.
Sono queste le novità da Salisbury, nel Wiltshire, dove sorge il mitico sito. A formularle, grazie anche a nuove rilevazioni con il carbonio 14, sono i professori Tim Darvil e Geoff Wainwright, che hanno condotto una serie di scavi.

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