“Il Quinto Elemento” si sta rivelando un abisso. La grotta scoperta nel 2003 e all’epoca esplorata nei suoi primi 50m, oggi raggiunge una profondità di -300m e sicuramente supera il chilometro e mezzo di sviluppo appena rivelato, aprendo la via verso una grossa faglia in una zona poco conosciuta dell’Altopiano del Gorga, sul versante orientale dei Monti Lepini. Il Massiccio, relativamente poco conosciuto, si configura come una delle aree carsiche più significative del centro Italia, con sette tra le prime dieci cavità più profonde del Lazio e molte delle più estese della Regione, che lasciano intravedere l’esistenza di un unico complesso carsico già ipotizzato nel Progetto Lepinia. Il racconto di Andrea Benassi sulla nuova scoperta.
DI ANDREA BENASSI
Identificato nel 2003, nell’ambito del “Progetto Lepinia”, il Quinto Elemento (La1640), per posizione e comportamento, già al momento della scoperta aveva tutte le carte in regola per essere qualcosa d’importante. Esplorato all’epoca solo per i primi 50 metri, era stato immaginato come un possibile ingresso alto, relativamente ad un ramo in risalità nel vicino “Ouso a Due Bocche” (La930), da cui dista circa 300 metri. Le difficoltà incontrate nella disostruzione ne arrestarono però l’esplorazione, e nonostante numerosi tentativi operati negli anni successivi da molti speleologi laziali, la situazione è rimasta immutata fino all’estate del 2020, quando una nuova generazione di esploratori – già coinvolta nelle esplorazioni del vicino Due Bocche – ha deciso di raccogliere la sfida e ha avuto finalmente la meglio sulla lunghissima strettoia (Strettoia del Malandrino), richiamando così a raccolta vecchi e nuovi esploratori dell’Altopiano del Gorga, tra i Monti Lepini Orientali.
L’esplorazione.
Una volta superato l’ostacolo, la grotta si è aperta come nessuno di noi aveva immaginato, scendendo rapidamente intorno ad una profondità di -120 con un bel pozzo da 50 metri (Pozzo FinediMondo) e mostrando subito la sua complessità . Invece di collegarsi, come molti di noi supponevano, si presenta un meandro-galleria di grandi dimensioni, esplorato all’inizio dell’estate per oltre mezzo chilometro (Meandro del Basilisco). Una struttura sub orizzontale estremamente ramificata e molto antica. Un piano di gallerie del tutto inaspettato, che sebbene molto superficiale, testimonia un passato livello di falda e fa immaginare molti possibili collegamenti idrogeologici con le parti sommitali dell’altopiano.
Nell’autunno poi si sono susseguite altre quattro punte durante le quali, esplorazione dopo esplorazione, la grotta sembrava prendersi gioco delle nostre teorie. Rilievi alla mano, ogni volta entravamo convinti di chiudere l’esplorazione, collegandola con il vicino “Due Bocche” ed uscivamo invece certi di non averci capito nulla.
Abbiamo superato così il piano di gallerie sub-orizzontali e dopo un breve meandro tanto stretto quando bagnato (Lo Stretto indispensabile), abbiamo ripreso rapidamente a scendere con una sequenza di grandi pozzi (Pozzo Coprifuoco, Pozzo Mangiafuoco e Pozzo Mandrake) e meandri che ci hanno portato ad una profondità di circa -300.
Cosa ancora più interessante, ci hanno spostato in direzione di una grande faglia in una zona dell’altopiano totalmente ignota.
Le esplorazioni verso valle si sono fermate per fine materiale su un grande meandro galleria che continua a scendere, mentre altre gallerie fossili e arrivi occhieggiano lungo la strada. Anche sul fronte del collegamento con il Due Bocche, inseguendo aria e acqua abbiamo finalmente individuato la giusta difluenza: solo poche decine di metri ci separano dalla giunzione.
Quando lo trovammo circa 17 anni fa, lo chiamammo “Quinto Elemento”, perché posto al centro degli altri quattro abissi che stavamo esplorando, sperando che questo fosse di buon auspicio. Allo stesso tempo ammiccando al titolo dell’omonimo film di Luc Besson, dedicavamo quel nuovo ingresso al più etereo degli elementi: il vuoto, di cui speravamo fosse degno rappresentante. Allo stato attuale, con una profondità di -300 e circa 1,5 chilometri di esplorato, la grotta sembra cominciare a meritarsi il suo nome.
Ci sono voluti tanti anni e gli sforzi (premiati) di molti, ma questo nuovo abisso oltre al piacere dell’esplorazione, ha il merito di gettare nuova luce e nuovo interesse sull’intera zona.
Il Progetto Lepinia e l’Altopiano del Gorga.
Il Progetto Lepinia prendeva il nome dalla speranza di un unico grande complesso carsico sull’altopiano di Gorga, nei Lepini Orientali: a quel tempo, un vero e proprio atto di fede. Un progetto autonomo e trasversale durato 3 anni, e che ha portato anche successivamente all’esplorazione delle cavità più importanti della zona, nonché ad una serie di colorazioni e studi che permettono di immaginare legami e relazioni tra le diverse cavità e tratteggiare il comportamento idrogeologico dell’intera zona. Alla luce delle conoscenze attuali, di questo complesso solo ipotizzato, iniziamo a intravedere i frammenti e ad immaginare ciò che speriamo prossimamente di esplorare.
In questo contesto, “il Quinto Elemento” racchiude in sé un ulteriore valore simbolico, oltre che scientifico: la dimostrazione più evidente che, per comprendere a fondo un territorio, è necessario unire le forze, condividere impegno e obiettivi, continuando a costruirli sugli studi e le scoperte degli esploratori che ci hanno preceduto, senza che nulla vada perduto, perché ognuno ha contribuito con un tassello al progresso della conoscenza.
[caption id=”attachment_84920″ align=”alignnone” width=”400″ caption=”L'Altopiano di Gorga”][/caption]
Esteso su circa 25 km², a quote comprese tra i 1000 ed i 1400 metri, l’Altopiano del Gorga si presenta morfologicamente come una sequenza di piani e valli chiuse, separate da brevi dorsali. La circolazione idrica superficiale è completamente assente, ed il drenaggio è totalmente sotterraneo. Nella parte centro orientale dell’altopiano, in una ristretta fascia di circa 4 km², si trova una altissima presenza di fenomeni carsici rilevanti, a cui oggi si aggiunge un nuovo significativo tassello.
L’Ouso di Passo Pratiglio (-840), L’inghiottitoio di Campo di Caccia (-610), l’Abisso di Monte Fato (-336), L’Ouso a due Bocche (-221), l’Abisso del Sacco (-200) e oggi il Quinto Elemento (-300), sebbene ancora separati, rappresentano ad oggi oltre 10 chilometri di passaggi esplorati, a cui si aggiungono quasi un centinaio di cavità minori.
Sebbene le esplorazioni in questa zona siano iniziate ad opera del Circolo Speleologico Romano già nel 1948 e proseguite negli anni ’80-’90 principalmente da parte di soci dello Speleo Club Roma, per cominciare a comprendere il drenaggio profondo e intuire le reali potenzialità dell’area, si è dovuto attendere fino ai primi anni 2000. Questa nuova stagione ha visto infatti convergere nel Progetto Lepinia gli sforzi di diversi esploratori.
Nonostante le esplorazioni in questa zona siano iniziate quasi un secolo fa, fino agli anni ’90 le conoscenze del carsismo profondo erano praticamente nulle.
Le cose sono cambiate totalmente con il nuovo millennio, quando grazie anche ad un nuovo approccio di ricerca, il massiccio ha accolto un crescendo di esplorazioni complesse e profonde, nonché la scoperta di molti nuovi abissi.
Sette delle prime dieci cavità più profonde della regione, nonché molte delle più estese, si aprono oggi nei monti Lepini, facendo di questo massiccio non solo l’area carsica più esplorata del Lazio, ma anche una delle più significative del centro Italia (Cfr. Speleologia n°68).
Alle esplorazioni del 2020 hanno partecipato: Francesca Romana Ajale, Fabio Bellatreccia, Andrea Benassi, Tommaso Biondi, Valerio Callaringi, Alessandro Capodilupo, Federico Casadei, Andrea D’Alfonsi, David Del Brusco, Mauro Masci, Roberto Pettirossi, Alessio Pieroni, Alessandro Rosa, Antonella Santini, Stefano Soro, Fabio Tarini, Paolo Turrini.
I Monti Lepini
I monti Lepini sono un massiccio carsico preappenninico del Lazio meridionale. Anche se relativamente poco note come montagne, costituiscono un’area carsica importante del Paese, che racchiude quasi un terzo di tutte le grotte conosciute del Lazio. Tra i loro lecceti e faggeti, infatti, si aprono oggi quasi 600 delle oltre duemila cavità della regione, e tra queste buona parte delle più importanti.
Estesi su circa 500 km², morfologicamente costituiscono un blocco omogeneo che si stacca nettamente dalla pianura del Sacco a nord e dalla pianura Pontina a sud. La cima piu alta raggiunge quota 1536 slm, mentre la prominenza media del massiccio e di circa 1300-1400 metri.
La struttura montuosa è caratterizzata da una grande faglia che divide il massiccio in due blocchi distinti: uno a sud-ovest che comprende alcuni grandi piani carsici e la dorsale del monte Capreo-Semprevisa-Erdigheta (Lepini Occidentali) e uno più interno a nord-est, che comprende l’Altopiano di Gorga e le dorsali del Monte Malaina e Monte Gemma (Lepini Orientali).
Composti da calcari cretacei, i monti Lepini rappresentano il settore piu occidentale della piattaforma carbonatica laziale-abruzzese e si comportano da unità idrogeologica con una serie di importanti emergenze, situate praticamente a livello del mare sulla pianura Pontina. Dal punto di vista morfologico, presentano un campionario pressoché completo di forme epicarsiche: polje, valli cieche, doline e campi solcati sono distribuite ovunque, dalle pendici fino ai grandi altopiani sommitali.
Per la bibliografia di riferimento e altre informazioni sulle esplorazioni sui Lepini Orientali e immagini sulle recenti esplorazioni al Quinto Elemento:
http://casolaspeleo.blogspot.com/2020/11/vagando-sotto-laltopiano-di-gorga-parte.html
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Andrea Benassi Nato a Roma, dottore di ricerca in Antropologia culturale, ha svolto ricerca in diversi istituti nazionali ed esteri, realizzando studi etnografici in Laos, Pakistan e Honduras. Speleologo da oltre 30 anni, in Italia ho svolto esplorazioni principalmente nel Lazio, nelle Apuane, in Marguareis, a Monte Cucco e nel sistema dei Piani Eterni, mentre all’estero ha organizzato circa trenta spedizioni speleologiche esplorative in nuove zone carsiche tra cui: Marocco, Honduras, Laos, Vietnam, Cambogia, Indonesia, Nuova Guinea, Messico. Nella sua carriera di Antropologo ha lavorato presso la Regione Lazio ed Emilia Romagna nell’ambito Museale e della catalogazione dei Beni Culturali, e si è occupato dei diritti dei popoli indigeni per conto della Fondazione Lelio Basso.