La sonda “Messenger” invia le istantanee dell’incontro con il pianeta degli estremi,metà bollente emetà gelido
Dalle prime immagini ad alta risoluzione emergono distese costellate di crateri e grandi letti di lava solidificata.
Notizia pubblicata su Tutto Scienze del 13 febbraio 2008 sotto licenza Creative Commons

MARIO DI MARTINO
INAF – OSSERVATORIO
ASTRONOMICO DI TORINO
Dopo quasi 35 anni un’altra sonda spaziale ha raggiunto Mercurio, il più piccolo e il più vicino al Sole degli otto pianeti del Sistema Solare.
Era il 24 marzo 1974, quando la sonda «Mariner 10» effettuò il primo dei tre fly-by del pianeta, durante i quali fotografò circa la metà della superficie, che apparve segnata da migliaia di crateri da impatto. Mercurio, con un diametro di poco inferiore ai 5 mila km, come Venere non possiede satelliti naturali.
E’ anche un mondo di estremi. Di tutti gli oggetti del nostro sistema planetario è quello che si è formato alle temperature più elevate.
Unico caso tra i pianeti, l’intervallo tra due passaggi consecutivi del Sole al meridiano di un punto della sua superficie (giorno solare) è di circa 176 giorni, un periodo di tempo doppio rispetto all’anno mercuriano. La differenza di temperatura tra la faccia esposta al Sole (+450° C) e quella opposta (-180° C) è di oltre 600° C e rappresenta un altro record. Infine, sembra che all’interno di alcuni crateri da impatto polari mai illuminati dal Sole sia presente del ghiaccio.
Mercurio è un mondo arido e con la superficie tormentata. Molti aspetti di questo pianeta, come l’origine e l’evoluzione, il peculiare campo magnetico, l’atmosfera rarefatta, il nucleo probabilmente liquido e alcune particolari morfologie della sua superficie, rimangono ancora oscuri. Queste caratteristiche estreme lo rendono un oggetto molto interessante, oltre a opporre ostacoli particolarmente difficili all’esplorazione scientifica, sia da Terra sia per mezzo di sonde spaziali. Tuttavia, pur essendo – dopo la Luna, Marte e Venere – uno dei corpi celesti più vicini alla Terra, è il pianeta di cui sappiamo meno. Adesso, dopo aver percorso 7,8 miliardi di km, «Messenger » (MErcury Surface, Space ENvironment, GEochemistry and Ranging), lanciata dalla Nasa nell’agosto 2004, è arrivata a destinazione.
Ma, prima di iniziare la missione nominale, la navicella dovrà effettuare altri due fly-by del pianeta (il 6 ottobre 2008 e il 29 settembre 2009) e il 18 marzo 2011 si immetterà in un’orbita fortemente ellittica (200 km la minima distanza dalla superficie e oltre 15 mila km la massima) attorno a Mercurio, che studierà in maniera dettagliata per almeno un anno.
La durata del viaggio di «Messenger», quindi, sarà alla fine di poco inferiore ai sette anni, un periodo lunghissimo, se paragonato ai sei mesi necessari per raggiungere Marte, che dista dalla Terra 14 milioni di km in meno. Ciò è dovuto al fatto che, per poter essere
catturata dal campo gravitazionale di Mercurio, «Messenger » deve raggiungere la velocità orbitale del pianeta (circa 50 km/s), superiore di circa 20 km/s a quella della Terra. Per far ciò, seguendo una traiettoria diretta, sarebbe stata necessaria una quantità
di propellente enorme e perciò la sonda, per aumentare la velocità, ha sfruttato e sfrutterà il «trucco» dell’effetto fionda. Ha infatti effettuato un fly-by con la Terra e Venere e quello recente con Mercurio, in attesa dei prossimi due.
L’effetto fionda – «gravity assist » – è un espediente con cui un’infinitesima parte dell’enorme momento angolare di un pianeta viene trasferita alla sonda nel corso di un passaggio ravvicinato, provocando così la sua accelerazione.
Durante l’incontro del 14 gennaio scorso «Messenger» ha trasmesso oltre mille immagini, alcune delle quali, scattate da una distanza di soli 200 km, hanno una risoluzione che permette di vedere dettagli prima impossibili. Nel centro di un grande cratere da impatto, per esempio, sono visibili dei raggi chiari, provocati molto probabilmente dall’espulsione di materiale roccioso a seguito della collisione di un corpo cosmico. Un altro aspetto interessante, derivato dall’analisi delle prime immagini, è rappresentato da alcune zone scure, che potrebbero essere letti di lava solidificata. Se questa interpretazione fosse confermata, la storia di Mercurio andrebbe riscritta. Queste colate di lava, infatti, dovrebbero essere fluite in superficie dopo la formazione dei crateri di cui è costellata la superficie e quindi successivamente ai primi 500 milioni di anni della sua esistenza.
I prossimi dati promettono molte sorprese. Intanto alla Nasa c’è soddisfazione per una sonda che ha rappresentato una tremenda sfida tecnologica: oltre a dover ridurre al minimo il suo peso, gli strumenti sono stati realizzati in modo da poter operare per lungo tempo a temperature elevatissime: la distanza dal Sole a cui orbita Mercurio è di 58 milioni di km, rispetto ai 150 milioni del nostro pianeta.
Intanto, anche l’Esa progetta una missione ancora più complessa destinata proprio a Mercurio. È stata battezzata «BepiColombo» in onore dello scienziato italiano Giuseppe Colombo, scomparso nel 1984, che, oltre ad essere un geniale ideatore di orbite interplanetarie per l’invio delle sonde automatiche con il minor dispendio di energia, aveva anche scoperto l’esatto moto di rivoluzione di Mercurio intorno al Sole e la correlazione con il suo periodo di rotazione. Il lancio è programmato per il 2013.

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