Dopo cinque anni si sono finalmente concluse le esplorazioni alla Nevera del Tratturello nel Parco Nazionale d’Abruzzo.
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Un mostro dormiente si cela da queste parti, ce ne accorgemmo subito con la Nevera del Tratturello quando, a metà del 2006, la nostra attenzione si focalizzò su questa enorme area carsica. Gigantesche doline ed alcuni vistosi fenomeni ipogei, erano chiari indizi che lasciavano presagire sistemi sotterranei molto più dilatati. E così con la Nevera iniziarono le prime incredibili scoperte..
– CRONACA ESPLORATIVA –
A 1640 metri di quota, ai confini occidentali del Parco Nazionale d’Abruzzo, si apre una cavità nota da tempo, con una temperatura all’ingresso di circa 1 grado, impostata su una spaccatura perpendicolare. A renderla esclusiva è la presenza costante al suo interno di un enorme deposito di ghiaccio, probabilmente unico caso tanto singolare in Appennino a questa quota. Notammo allora che da una diramazione laterale fuoriusciva una forte corrente d’aria, lasciando intuire importanti sviluppi esplorativi.
Il 12 luglio 2007 dopo un’ interminabile giornata di lavori, allargammo infine otto metri di uno stretto e ghiacciato meandro largo appena una dozzina di centimetri. Oltre, una piccola saletta si affacciava direttamente su un’incredibile verticale di 37 metri. L’emozione fu tanta, ma non tanto per la relativa profondità del pozzo, ma per le sue dimensioni e l’inconsueta bellezza, lo chiamammo subito “che spettacolo”.
Comprendemmo così di essere di fronte a qualcosa di complesso, ignorammo alcune grosse finestre e scendemmo immediatamente la via più semplice. Attraverso colonne e concrezioni bianchissime, ancora un altro fantastico pozzo nel vuoto da 25 metri, poi un altro paio da 6 e una sala. A corde ultimate ci affacciammo infine su quella che valutammo allora un unica verticale da 50 metri. Animati da quell’ entusiasmo che solo un’esplorazione del genere può dare, ritornammo il weekend successivo e raggiungemmo così un primo e ampio fondo a -141 metri. Nelle punte seguenti effettuammo diverse risalite, esplorammo il “ramo parallelo” ed una zona piuttosto complessa ed infangata che denominammo “il chiavatappi”, un tortuoso e bizzarro meandro che tornava sfortunatamente sul conosciuto.
A questo punto qualcuno pensò che la grotta dovesse chiudere lì, ma l’aria che circolava proferiva esattamente il contrario.. Negli anni successivi ispezionammo lungamente gli enormi pozzi effettuando diversi test dell’aria e dure risalite, poi finalmente da uno stretto e bagnato meandrino sul p43, uscimmo su una gigantesca verticale, al cui fondo un enorme e profondo lago cristallino però precludeva ogni via. In seguito scoprimmo che il lago era un bacino pensile, e che a all’enorme pozzo vi si poteva accedere inoltre da una piccola spaccatura sul p25. Fu da quel punto che grazie ad una risalita di 30 metri ed un traverso a tetto da 40, che ci impegnò non poche energie, che raggiungemmo infine il vero attacco del grande pozzo, che ora diventava un fantastico 130 metri e che terminava sul grande lago.
Ci vollero ancora alcune uscite per allargare e risalire una faticosa strettoia accedendo infine alla “regione anomala”, dove rinvenimmo un camino con forte circolazione, chiaro indizio di un altro ingresso. E così, rilievo alla mano, percorremmo in superficie la distanza percorsa in grotta e rinvenimmo “Little Dragon”, il secondo accesso della Nevera e responsabile di tutta quella circolazione.
Oltre il camino tuttavia, la grotta proseguiva generosa con una incantevole condotta concrezionata, poi un salto da 20 e ancora una magnifica galleria inclinata, a metà della quale uno scivolo di cinquanta di metri immetteva nuovamente sulla grande verticale. Più avanti invece, come a chiudere in bellezza, ritrovammo infine una fantastica cascata di una decina di metri, provenire da un attivo, e responsabile del riempimento del lago sul fondo della Nevera. E così, dopo aver scrutato la grotta in lungo e in largo nel corso di cinque lunghissimi anni, si chiude definitivamente il capitolo Nevera, dando così una risposta a tutta quella circolazione che altro non è che la relazione di Little Dragon con un ingresso dalla temperatura glaciale. Grazie all’accumulo di considerevoli masse nevose infatti, che si depositano ogni anno nell’enorme impluvio della Nevera, il ghiaccio formatosi nei periodi più freddi non raggiunge mai il tempo sufficiente per sciogliersi, creando in questo modo un effettivo divario termico fra i due ingressi.
La connessione fra questi tuttavia, non deve precludere però un unico probabile sviluppo che, a parer nostro, potrebbero avvenire solo con un faticoso lavoro di scavo sul “fondo dei pirati”, in mezzo ad acqua e fango e ad una temperatura di circa 2 gradi!
Considerazioni finali: in ultima analisi, in un vasto quadro di ricerca come quello iniziato dal nostro gruppo con il progetto O.R.S.A. (Organizzazione Ricerche Speleologiche Abruzzo) nel lontano 2002, vorremmo fornire nel tempo un’adeguata documentazione, così da rendere comprensibile e fruibile la complessità dei fenomeni, che ghiaccio e acqua hanno apportato in quest’area.