1975, anno più, anno meno, i miei genitori, ignari e ingenui su quello che stavano per combinare, mi portarono a visitare le Grotte di Frasassi, ero un bambino di 9 anni. Le grotte erano state aperte da pochissimo al pubblico. Mi ricordo pochissimo di quella prima visita, mi ricordo la lunghissima fila all’entrata, ma all’uscita volli comprare un libriccino azzurro, non ricordo più il titolo, ma era stato scritto da speleologi, parlava di come si formarono le grotte di Frasassi, e soprattutto narravano le gesta di quelli che trovando un buchetto che soffiava aria entrarono per primi nell’Abisso Ancona ed esplorarono le Grotta Grande del Vento.
Lessi e rilessi quel libretto, e quel pomeriggio in macchina dissi “io da grande voglio fare lo speleologo” e andai a cercare sulla mia “bibbia” (Il Manuale delle Giovani Marmotte) come si faceva per diventare speleologi. C’era un articolo che diceva “Come diventare geologi” che nella mia mente era la cosa più vicina ad uno speleologo. Facevo la quarta elementare, c’era da studiare troppo per diventare geologo, e in terza media optai per l’istituto industriale statale, elettronica, piuttosto che liceo scientifico che mi avrebbe buttato sulla geologia. Passarono gli anni delle superiori ma il piccolo speleologo che si innamorò delle grotte leggendo un libretto a Frasassi sopiva e covava costantemente ardore e desiderio di conoscere il mondo sotterraneo.
A 23 anni feci il mio bravo corso di speleologia, pensando sempre a come potevano sentirsi quegli scopritori di Frasassi. Rimasi speleo di periferia fino all’avvento di internet e con la baby scintilena pubblicai intorno al 2002 un articolo in cui descrivevo questa storia, la passione infusa in un bambino, mai sopita e portata a compimento grazie a Frasassi. Lesse quell’articolo Giancarlo Cappanera e mi scrisse una mail APPASSIONATA che più o meno diceva: “Ciao Andrea, ho letto il tuo articolo, ti ringrazio, sono io quello che è entrato nel buco che tirava vento, la Grotta Grande del Vento l’ho scoperta io” e mi mandò più o meno questo link: http://www.frasassigsm.com
Mamma mia, il mito diventava reale, il mio Mito Vivente mi mandava una mail. Nel corso degli anni siamo rimasti in contatto, auguri di Natale, complimenti a vicenda, ma mai incontrati perchè adesso Giancarlo vive a Palermo.
Passarono ancora anni, qui in lista 2000 persone conoscono me, anonimo speleo mezzasega, ma pochissimi sanno dare un volto e soprattutto una storia a Giancarlo Cappanera, continuo a non trovarla una cosa giusta. Quell’uomo ha diritto al mio ringraziamento, è lui che involontariamente mi ha messo dentro questa irrefrenabile voglia di ficcarmi a guardare in ogni buco che soffia, a cercare, e senza di lui forse non sarebbe mai esistito il mio piccolo blog Scintilena.
In questi giorni ricorre il 60° anniversario del Gruppo Speleologico Marchigiano, di cui Giuseppe Antonini, altro mito vivente, è il degno attuale uomo di punta, e questo fine settimana si svolgono i festeggiamenti… oggi c’è stato un convegno, ieri sera una proiezione… ad Ancona, 3 ore di macchina da casa mia.
Se per qualcuno 3 ore di macchina si possono fare benissimo per andare in grotta, figuriamoci per me cosa sono tre ore di macchina per andare a conoscere di persona Giancarlo Cappanera che è ad Ancona per partecipare ai festeggiamenti!
Così parto la mattina, sotto la pioggia incessante, faccio sosta dagli amici di Big Wall a Fossato di Vico che sono sponsor della Scintilena, compro un paio di scarponcini e traverso l’appennino, dove faccio una sosta con piadina, bicchiere di rosso, visione mistica, telefonata a Cave_bit in prossimità delle Grotte di Frasassi dove mi procuro un depliant… mi serviva per farmici fare l’autografo…
Riprendo la strada verso l’adriatico e seguendo il corso dell’Esino Straripante giungo ad Ancona nel primo pomeriggio e avviene l’incontro con la Leggenda.
Ci mettiamo seduti in un bar, tutto quello con cui posso ringraziare colui che ha dato una forte direzione alla mia vita è un misero cappellino della scintilena, è il mio, l’ultimo dei 75 donati a chi mi ha dato una mano in questi anni. E’ un onore per me donare qualcosa di mio allo scopritore di Frasassi, che, seduto davanti a me, comincia a tornare indietro nel tempo, la prendiamo alla larga, partendo da una disgraziata uscita alle Tassare, monte Nerone, e poi inevitabilmente, Storia-Leggenda-Realtà si uniscono in un tuttuno, nella voce ancora incredula di un cinquantenne anconetano che ogni tanto mi dice: “vabbè forse ti annoio…” e io, no no, vai vai, racconta, raccontami tutto…
Non mi era mai successo di aspettare per tanti anni, forse 35, per sentire la viva voce di una storia affascinante, iniziata come una delle mie tante domeniche mattina, piede di porco, paletta e callarella all’inseguimento del vento ipogeo.
Ieri pomeriggio il tempo si è fermato per me e per un paio d’ore sono stato trascinato nel tempo e nello spazio al 1971, inseguendo speleologi su scalette, la frenesia dell’esplorazione e della meraviglia mi ha fatto scorrere brividi sulla schiena, brividi continui tanto che ad un certo punto mi sono accorto di avere i muscoli completamente contratti. Abbiamo rivissuto insieme a quel piccolo uomo una pagina epica, non tanto per la scoperta o l’impresa speleologica che di per se non è poi stata così impegnativa o particolarmente difficile, ma per quello che rappresenta Frasassi nell’immaginario di molti non-speleologi, noi dobbiamo dire GRAZIE a quelli che entrarono in quel buco di Monte Valmontagnana.
Grazie Giancarlo, grazie per la tua passione e per la tua amicizia.
E adesso, potremmo mai ringraziarlo noi speleologi tutti?