Giovedì 22 giugno 2006 alle ore 21 Libreria-enoteca “Peak Book” via Arco dei Banchi 3/a 00186 Roma (centro, zona Corso Vittorio)
Fabrizio Ardito giornalista e scrittore incontra Natalino Russo autore del romanzo “La via di Santiago” (CDA & Vivalda Editori)
Il romanzo narra la vicenda di un tale che si mette sulla strada per Santiago de Compostela, spinto dalla curiosità e dall’aura un po’ mitologica di un viaggio tanto famoso. Parte in bicicletta e, strada facendo, si accorge di ritrovarsi in un viaggio altro, è preso dalle perplessità e si interroga sul senso di quell’andare tra tanti “pellegrini”. Alla fine decide
di mollare la bici e proseguire a piedi, in un percorso che non approda a Santiago ma parte da lì. È per certi versi un ribaltamento, la messa in discussione di quel viaggio. La domanda è quella di ogni viaggiatore: che ci faccio qui?
Innanzitutto è un libro di viaggio, poi del viaggiare cerca di narrare partendo da un itinerario che di originale non ha un bel niente, come quando crediamo di conoscere a menadito una grotta e invece…
Infine la storia, che con le grotte non ha niente a che vedere, ha, come dire, un approccio speleo.
Questo percorso è così: dove nasce davvero? Le sorgenti ufficiali sono sui Pirenei, vi si vede solo un rigagnolo, ma a ben vedere il torrentello già c’era, non scaturisce lì, vi approda già rivolo e, domanda un po’ in giro, nessuno sa dove sia nato. A scuola ci hanno insegnato che i corsi d’acqua si originano dalle sorgenti, ma è una semplificazione, anche una fonte è a suo modo una foce, chi conosce le grotte lo sa, i fiumi provengono da più
lontano: c’è un altrove da cui sgorga la prima goccia, ed è stilla che si forma da particelle più piccole, dalle molecole e dalla condensa, il vapore è fiume potenziale, sebbene autorevoli studiosi convengano che acqua è solo acqua liquida, e fiume soltanto acqua che scorre.
Se potessimo entrare nelle sorgive, vedremmo acque in forma di fiumi e di torrenti, uguali a quelli che scorrono sotto il cielo, ma lì scivolano sotto la pietra, vedremmo, come ci ha raccontato Verne e come fanno con ostinazione gli speleologi, ruscelli sotterranei provenienti da lontano, da monte. Potremmo provare a seguirli e, se non fossimo ostacolati da frane, strettoie, sifoni, ecco lo spettacolo degli affluenti sotterranei, il corso
d’acqua più cospicuo, le gallerie più ampie la via principale. Procedendo controcorrente per cascate e laghi, troveremmo sempre meno acqua, prossimità di sorgente. Poi il torrente non sarebbe neppure più rivolo. Dove inizia il rigagnolo ipogeo?
Quante grotte ci sono sotto la superficie? A giudicare dagli ingressi conosciuti, i buchi attraverso i quali noi speleologi entriamo sottoterra, a guardare quelle porte si direbbe che è un mondo limitato. Invece no: la maggior parte delle grotte non ha ingresso, non c’è modo di entrarvi se non con l’immaginazione. È per questo che gli speleologi più forti sanno trovare grandi grotte dove nessuno ha mai visto ingressi. Fantasia, è il metodo.