Dopo numerose punte esplorative dello scorso inverno, l’Abisso Krsko ha finalmente toccato i 1000 mt di profondità.
Articolo di Roberto Antonini
Domenica 15 maggio, l’abisso Krsko, dopo numerose punte esplorative condotte durante lo scorso inverno, ha finalmente toccato i 1000 mt di profondità.
L’ingresso della grotta si apre sul versante Sloveno del massiccio del Canin, lungo le pareti Sud del Monte Lopa, un contrafforte roccioso che domina la valle di Krnica.
Attualmente il Krsko ha uno sviluppo di circa 3,6 km e sta scendendo lungo il vallone di Krnica, proprio in direzione della risorgiva di Gljuna.
Il Krsko è ora il tredicesimo abisso che supera i 1000 mt di profondità nel massiccio del Canin.
In questa parte del massiccio del Canin si sviluppano i complessi carsici del Veliko Sbrego (-1400, 18 km), Ceki 2(-1505, 5,5 km), Vandima(-1182, 2,5 km), Queen Mama (-780, 4,5 km) ed altri abissi minori, per un totale di quasi 40 km.
Dal punto di vista geologico, la grotta è molto interessante, perché è uno dei sistemi più vicini alla risorgiva di Gljuna, la sorgente da cui fuoriescono la maggior parte delle acque dell’altipiano del Rombon.
Le esplorazioni:
L’ingresso della grotta è stato individuato durante una battuta invernale nel dicembre del 2017.
Le esplorazioni, iniziate già a gennaio, sono andate avanti per tutto il 2018 fino alla profondità di -350, dove una frana ha creato non pochi problemi nella ricerca della prosecuzione.
A parte alcune sporadiche uscite nell’estate del ‘19, le esplorazioni hanno subito una battuta di arresto fino all’estate del 2021 quando finalmente, dopo aver rimosso alcuni metri cubi di frana, è stato possibile superare la zona critica della grotta.
Da Settembre 2021, con 13 uscite esplorative, si è raggiunto l’attuale fondo.
Per la discesa a valle, di circa un migliaio di metri, gli esploratori hanno utilizzato a volte anche il parapendio, utile soprattutto per portare carichi pesanti e risparmiare le cartilagini delle ginocchia.
È bene precisare che l’esplorazione non è riconducibile all’attività di Gruppi speleo, ma dal lavoro di singoli speleologi uniti dalla passione per la ricerca nei sistemi carsici di questo settore del Canin.
Lo sviluppo della grotta:
L’ingresso è un pozzo che si apre a quota 2130 sulle pareti Sud del Monte Lopa; per raggiungerlo bisogna risalire una corda fissa per una trentina di metri; La grotta scende molto verticalmente nella parte iniziale, fino alla profondità di -300, qui è stato installato un primo campo, essenziale in particolare per le uscite invernali, si prosegue poi attraverso una serie di frane fino a -350, da dove parte un meandro, intervallato da pozzi mai troppo profondi, fino ad una zona labirintica di gallerie freatiche alla profondità di -600; da qua si riprende la via di discesa con meandri intervallati da pozzi fino a -800, dove ci si immette nel collettore principale della grotta, che, dopo un centinaio di metri, conduce su uno dei saloni più grandi del Canin, lungo un centinaio di metri, largo 50 e alto circa 150 mt.
Nella sala è stato installato un secondo campo, oltre il quale si prosegue attraverso le gallerie freatiche che portano sul pozzo finale di -1000.
La grotta attualmente prosegue su un camino che è ancora in corso di esplorazione.
Alle esplorazioni, oltre hanno partecipato:
l’immancabile Alberto Dal Maso
Roberto Antonini
Paolo Sussan
Rocco Romano
Rok Stopar
Lorenzo Michelini
Pino Antonini
Denis Provalov
Maurizio De Angelis
Marco Mercadante
Per chi volesse approfondire invio link con foto, video, rilievi 3D e relazioni esplorative
https://www.facebook.com/roberto.beks.5/
Di seguito, il racconto a caldo di Alberto dal Maso:
Abisso Krško – Mille per un occhio
“La corda non basta.” La voce di Beccuccio mi raggiunge a fatica, storpiata dal riverbero del pozzo e attutita dallo scroscio dell’acqua che scorre lungo le pareti. Il messaggio però è chiaro. Abbiamo ancora una chance: disarmare lo scivolo sopra il salto – che con un po’ di attenzione si dovrebbe riuscire a fare anche in libera – e usare quello spezzone per raggiungere il fondo. Del resto, non possiamo certo tornare indietro così, a penzoloni a pochi metri dal fondo di quel pozzo che stuzzica la nostra immaginazione da più di un mese ormai. Affido il mio sacco a Rocco e risalgo le corde appena fissate alla massima velocità, spinto dall’impazienza di vedere oltre.
Siamo entrati ieri mattina in questo abisso, il “Krško”, così chiamato perché quando Beccuccio lo trovò nel dicembre 2017 la colonna di aria (relativamente) calda e umida che ne usciva era talmente imponente da ricordare il camino di una centrale nucleare, come quella slovena che si trova nella città di Krško, appunto. Questa volta l’ingresso non soffiava così forte, anzi quasi aspirava, a causa delle temperature estive di questi giorni che invertono questo fenomeno che ha valso il nome alla grotta.
In una nicchia a pochi metri dall’ingresso, ben protetto dalle intemperie e nascosto dallo sguardo dei predatori vi è sempre stato un nido di gracchi. Di solito è vuoto, in alcune stagioni probabilmente disabitato, ieri invece conteneva un piccolo uovo bianco a puntini verdi. Una quarantina di metri più in basso, il pozzo di accesso sfocia in un altro pozzo più grande, dove la luce arriva a malapena, rimbalzando sulle pareti bianche di roccia. Al di sopra di quest’ultimo un camino si perde nell’oscurità, forse diretto verso chissà quale altra uscita.
Ieri mentre scendevo, all’improvviso mi sono trovato faccia a faccia con un gracchio. L’uccello, non avendo abbastanza spazio per prendere il volo, si lanciava svolazzando da una parete all’altra e risaliva così lo stretto camino. Non so come facesse a vederci qualcosa, fatto sta che, saltino dopo saltino, è scomparso verso l’alto e non l’ho più rivisto.
La discesa è filata liscia nonostante i sacchi ingombranti che ci portavamo appresso. Centinaia di metri di corda scorrevano nei discensori fumanti lungo una via percorsa chissà quante volte ormai fino al salone del primo campo. Breve pausa pranzo, poi avanti oltre le frane, lungo il meandro, i saltini, di nuovo meandro, saliscendi fino alle gallerie, annerite dall’effetto del vento e costellate di cristalli bianchi tanto da sembrare un cielo stellato. Poi la “strettoia della capriola”, il “Tomb Raider”, il “nonno pass”, fino al collettore, che questa volta col disgelo era gonfio come non mai e ci ha costretti a qualche acrobazia nel vano tentativo di non bagnarci. Ed eccoci finalmente al salone “Plitvice”, un ambiente talmente vasto che durante le calate non importa se si guarda a destra, a sinistra, in alto, in basso o dietro la schiena, solo un colore avvolge tutto: il nero. Non resta che concentrarsi sul proprio discensore e sulla modesta fetta di roccia davanti al naso, che è l’unica cosa che le nostre seppur potenti frontali riescono a illuminare. Un’imponente cascata nascosta chissà dove provoca un frastuono assordante che spezza ogni tentativo di comunicazione. Lontani, piccoli, isolati. Atterrando sul fondo di massi incollati dall’acqua pare di essere su un altro pianeta.
È proprio qui, a -900, che abbiamo allestito un nuovo campo dotato di tutti i comfort: tenda, sacchi a pelo e materassini su un letto di ghiaia tirato a bolla, poi comode poltrone in pietra e un tavolino per mangiare. Infine, un precario obelisco realizzato appoggiando delicatamente le pietre in equilibrio una sull’altra, stile stone balance: totalmente inutile, ma molto suggestivo.
Dopo una sana dormita, questa mattina in soli dieci minuti di progressione siamo arrivati qui nella zona esplorazioni e abbiamo attrezzato lo scivolo fangoso che sto ora disarmando.
Faccio su la corda e la porto a Beccuccio, che mi aspetta su un terrazzo a una manciata di metri dal fondo.
“Con questa dovremmo farcela” mi rassicura, e prosegue con l’armo, mentre Rocco controlla ossessivamente l’altimetro del suo orologio. “A che quota siamo?” Gli domando curioso. In cuor nostro stiamo tutti sperando di raggiungere oggi la mitica profondità di mille metri. Non che questa sia la priorità, certo, l’importante è che la grotta vada avanti, l’importante è trovare una prosecuzione promettente, in fondo il bello è proprio che ci sia ancora tanto da esplorare, la profondità vien da sé. Però è inutile nascondere che – per quanto sciocco possa essere – aggiudicarsi il titolo di “meno mille” darebbe a questa grotta un valore aggiunto e a noi di riflesso una certa soddisfazione. Oggi siamo qui anche per questo: per prenderci questa piccola soddisfazione che da molti anni è un sogno lontano, ma da pochi mesi è diventata un obiettivo concreto e quantomai vicino.
“Meno novecentosettanta” Mi risponde Rocco.
Passa qualche minuto e ci arriva il via libera. Ci fiondiamo giù per la corda e in un attimo siamo sul fondo. C’è solo pietrisco nel quale viene assorbita una misera cascatella e qualche masso più grande qua e là. Nessuna prosecuzione evidente. Anzi, nessuna prosecuzione proprio. Mentre mi sto cimentando con un’inconcludente risalita in artificiale, Beccuccio fa la domanda che ronza in testa a tutti e tre. L’uomo della quota risponde: “1155 metri sul livello del mare.” Considerando che la l’ingresso si apre a 2130 m slm, il conto è presto fatto: manca ancora parecchio. “Ma bisogna aspettare un attimo che si stabilizzi.” Aggiunge subito. Infatti, tempo di appurare che la mia risalita non porta da nessuna parte e l’altimetro scende a 1135.
“Quindi mancano 5 metri…cosa aspettiamo? Scaviamo!” Propone Rocco.
“Ottima idea. Vai! Comincia tu.” Gli rispondo ridendo.
“Non è ancora detto nulla, dobbiamo prima fare il rilievo. L’altimetro può sbagliare facilmente di qualche metro.” Ci rammenta Beccuccio. E così tiriamo fuori Distox™, gessetto e taccuino, alla vecchia, e giù a segnare distanze, direzioni e pendenze in bella calligrafia, cercando di non imbrattare il foglietto col fango.
In testa al pozzo si fa sentire forte come non mai il giro d’aria che ci ha accompagnato e guidato lungo tutta la grotta sin dalle prime esplorazioni. Stabile e sincera, questa corrente ci ha sempre mostrato la via giusta regalandoci speranza nei momenti di sconforto e talvolta, in base a non so quale alchimia, persino colorando i sassi di un inconfondibile arancione lungo il percorso corretto. Qui quest’aria sembra salire anziché scendere, ma per oggi non abbiamo abbastanza materiale per starle dietro. Rimandiamo alla prossima uscita e torniamo al campo con un pugno di mosche o poco più.
Spengo il fornello cercando di non scottarmi con l’acqua bollente che già schizza oltre il coperchio. La verso nella busta fino alla tacca degli 8 centimetri. Pasta al salmone, senza dubbio la più buona. Mescolo e richiudo.
“Certo che ‘sta grotta non regala mai.” Rocco tenta di scacciare quel silenzio amaro che si appiccica laddove c’è stanchezza mista a sconfitta.
“Non ha mai regalato. Ce la siamo sempre sudata. – Cerco di sollevare un po’ il morale – Ma siamo sempre riusciti a venirne a capo prima o poi. Vedrai che anche stavolta…”
“Ma sicuramente, non ho dubbi. Però oggi il mille poteva lasciarcelo fare. Almeno il premio di consolazione.”
“Beh ma magari quando metteremo giù il rilievo…”
“Novecentonovantanove.” Interviene Beccuccio. Lo guardiamo entrambi perplessi.
“Sì, ti immagini…”
“No no – prosegue deciso – Ho fatto il calcolo.” E agita fra le mani il cellulare di ultima generazione che si porta sempre appresso per fare foto e video. “Seno e coseno, semplice trigonometria.”
In effetti basta una qualsiasi calcolatrice per uccidere la suspence.
“Quindi 999 è la profondità esatta?” Chiedo conferma, incredulo.
“Aggiungi 30 centimetri va’, che il primo punto non era proprio sul pavimento. Ma sì, siamo là comunque.”
Scoppio a ridere, sembra proprio una presa in giro. Però alla fine in un certo senso è meglio così. Ci sono tante grotte nel mondo che scendono “più di mille metri”, ma quante ne possono vantare esattamente novecentonovantanove? Forse saremo addirittura i primi.
Apro la busta, ormai la pasta sarà pronta. Già me la pregusto.
“Mmm, gourmet. Si vede che c’è la mano di Cracco.” Mi prende in giro Rocco.
“Taci che se avessimo fatto mille ci avrebbe offerto pure un pranzo stellato – Guardo Beccuccio che fa finta di niente – Ricorda la tua promessa.” Continuo a punzecchiarlo, agitando il dito.
“Ah certo, dici bene: se avessimo…” E sottolinea il “se”.
“Vabbè, per stavolta mi accontento di Cracco.” E affondo il cucchiaio nel contenuto semi-molliccio della mia busta. Però a me piace davvero, altro che Cracchi e gracchi. Ripenso al gracchio di ieri mattina: assurdo cosa ci facesse così in profondità. Cosa lo avrà spinto fin laggiù. Ma soprattutto, da dove è entrato? E dove stava cercando di andare risalendo a goffi balzelli quel camino? Si vede che c’è un altro ingresso che noi non conosciamo, magari in parete… magari più in alto!
“Ragazzi!” Non riesco a nascondere l’emozione di questa mia deduzione che reputo – senza eccessiva modestia – geniale. La espongo ai miei compagni. “…e quindi se c’è un altro ingresso più alto, anche solo di un metro…” Lascio la frase in sospeso, sappiamo tutti che un ingresso più alto comporterebbe una maggior differenza di quota tra cima e fondo; quindi, in pratica ci permetterebbe di raggiungere la fatidica profondità a tre zeri.
“Un altro probabile ingresso c’è, l’ho visto col drone – Comincia Beccuccio – È in parete.”
Non sto più nella pelle, i tasselli si stanno unendo alla perfezione! “Però – continua poi, senza darmi nemmeno il tempo di gioire – è più in basso dell’ingresso attuale. Per questo non me ne sono mai curato.”
“Ah.” Ripiombo con i piedi per terra. “Peccato.” Non mi resta altro da dire. Finita la cena mi lavo i denti e mi tuffo nel buon vecchio sacco a pelo che ormai a forza di star nell’umido ha iniziato a puzzare di muffa.
L’indomani ci svegliamo di buon’ora e iniziamo presto la risalita. Croll e maniglia mordono le corde di buon ritmo e in breve arriviamo al punto dove si inizia a intravvedere qualche barlume dal cielo. Dalla base del primo pozzo, guardando in alto si viene abbagliati dalla luce esterna, che arriva diretta sulle pupille abituate a giorni di oscurità. Distinguo solamente il grosso arco naturale caratteristico di questo ingresso spettacolare. A destra si trova il portale attrezzato con le corde da cui si entra, mentre sopra, a sinistra, c’è un foro perfettamente tondo, un metro di diametro o poco più, come un gigantesco occhio che guarda dritto sulla verticale della voragine.
Esco per ultimo, saluto il nido di gracchi che ora contiene ben due uova: ne hanno deposto uno mentre eravamo dentro. Speriamo di non averli spaventati troppo. Beccuccio mi sta aspettando sul ciglio. “Vedi il foro – mi fa, indicandomi l’occhio al di là del ponte di roccia – Tecnicamente è un ingresso alto.” Capisco al volo dove vuole arrivare.
“Due metri più in alto, per l’esattezza.” Aggiungo, dopo averlo confrontato con la mia altezza. Ce l’abbiamo fatta quindi. Un enorme sorriso si disegna sui nostri volti: meno milleuno!
“Complimenti! Bravi!” La notizia si diffonde immediatamente tra gli amici più stretti. Non so se sia questione di bravura o di fortuna: in fondo, così stanno le cose e noi ci siamo limitati a constatarle. Quel che so è che abbiamo fatto mille per un pelo, anzi…per un occhio.
Alberto Dal Maso
Hanno partecipato Roberto Antonini “Beccuccio”, Alberto Dal Maso (AXXXO), Rocco Romano (CGEB)
14-16 maggio 2022