Dopo un’attenta ricerca scaturita da riflessioni e innumerevoli scambi di opinione inerenti il diritto d’autore dei “rilevatori speleo”, ho constatato delle fattispecie che riprendono il caso in questione, grazie al contributo specialistico di Roberto TOMESANI e alle sue pubblicazioni rinvenibili sul sito della Associazione Nazionale Fotografi Professionisti TAU Visual.

Da queste ricerche ho
comunque potuto rilevare che il reato di riproduzione di opera altrui di cui all’art.171, L. 22 aprile 1941, n° 633 rientra nella fattispecie di un reato cosiddetto “formale”, di mera condotta, per la cui verificazione no è richiesto che si produca un evento, essendo sufficiente l’azione o l’omissione del colpevole.

Oltretutto, non è consentito che possano riprodursi copie delle “riproduzioni” di opere originali, costituendo queste a loro volta, elaborazione originale dell’ingegno creativo.



Se bisogna dimostrare, che un rilievo di carattere speleologico sia opera creativa nata dall’ingegno dell’autore che l’ha rappresentato è manifestabile chiaramente nella capacità espressiva dell’autore, capacità del tutto attribuibile alla persona, capacità questa, di sintesi nel restituire graficamente la visualizzazione di un luogo, sia dal punto di vista scientifico descrittivo e, allo stesso tempo, dal punto di vista estetico, ossia, capacita di rendere il tutto piacevole alla vista.



Il non citare l’autore o gruppo, la cui specializzazione è fondamentale nel completamento di un lavoro speleologico, è una procedura tanto ingiusta quanto diffusa, da qui la necessità di una normativa ad hoc già esistente. La scorrettezza si evidenzia proprio in questa mancanza che arreca un danno all’autore non solo di carattere economico, ma ancor più di carattere morale nel dover rinunciare all’esclusività di un’opera, la cui nascita e creazione, è il frutto del personalissimo lavoro di un singolo o gruppo. E’ comunque implicabile in questa forma di scorrettezza e di reato, la possibilità più volte già riscontrata, che alcuni lavori ripescati qua e là siano stati utilizzati da terzi, poco professionali o molto fiduciosi delle proprie capacità, in maniera errata e scorretta e l’esito è stato quello di un lavoro che anziché contribuire a dirimere i dubbi, ha alimentato sempre più confusione ed incertezza.



A tutela di questo e per un giusto riconoscimento di cui il nostro lavoro ha bisogno è necessario ed indispensabile che si applichi la “ratio” della norma sul diritto d’autore ed affinchè questo avvenga, è necessaria la sensibilizzazione di tutti verso un continuo ed interessato controllo su ogni possibile forma di scorrettezza che ci danneggi.



Quello che si sa meno frequentemente, tuttavia, è che la legge prevede (agli articoli da 12 a 19) una serie di diritti economici “distinti” gli uni dagli altri: diritto di pubblicare, di riprodurre, di diffondere a distanza, di commerciare, di elaborare, di antologizzare, di modificare l’opera. Ciascuno di questi diritti è indipendente, e può essere oggetto di separate contrattazioni, in caso di vendita o concessione di qualche diritto d’uso.

Grazie a quanto previsto da questi articoli, quindi, chi ha realizzato una immagine creativa gode di un esplicito diritto all’elaborazione ed alla modifica: un diritto autonomo, che può essere ceduto ad altri (ad esempio quando si cedono tutti i diritti) oppure no.

Quando viene ceduto, supponiamo, il diritto di pubblicazione (ad esempio ad una rivista), o quando si cedono tutti i diritti di riproduzione, l’autore NON ha ceduto automaticamente anche i diritto di rielaborazione, che è esclusivo.
In sostanza, o l’autore cede “tutti” i diritti, senza altra distinzione (ed in questo modo vende anche i diritti di rielaborazione) oppure quel diritto in specifico non è stato venduto, e quindi nessuno, nemmeno il cliente che ha acquistato gli altri diritti, ha la possibilità di rielaborare l’immagine in questione.



Bisognerebbe capire, se il semplice passaggio di mano in mano (come spesso avviene) di un rilievo o foto senza accordo scritto, svincola l’editore dal rispetto di tutti o parte dei diritti d’autore compresa la rielaborazione.



Men che meno, ovviamente, questo diritto compete a chi – riproducendo l’immagine da una rivista, un poster, una banca dati, una cartolina – la utilizzi per sue elaborazioni stravolgendone l’immagine originaria (notare la banca dati può considerarsi il catasto al quale noi speleo concediamo implicitamente il diritto di archiviazione allo scopo consultivo).



Tutti sappiamo come sia una consuetudine molto diffusa quella di “rubare” particolari di altre immagini per utilizzarle all’interno di elaborazioni. Un classico sono le rielaborazioni di rilievi per necessità editoriali, caso in cui si sa, è molto difficile l’identificazione del rilievo di partenza, ma è altresì abbastanza evidente che in ogni caso si tratti di illecito, aggravato eventualmente dalla mancata citazione della fonte e dell’autore con sovrapposizione ad esso (ricordate? disegno pinco pallino “Rifatto”).

Sul piano legale, quindi, per poter elaborare un’immagine qualsiasi, od un particolare, occorre avere in qualche modo acquisito anche lo specifico diritto di elaborazione.

Tra noi speleo, questa regolamentazione no creerebbe nessun problema, noi sappiamo benissimo che i nostri fini sono la conoscenza e la libera circolazione di questi dati.

Il problema sussiste, quando questi lavori vengono ripresi da terzi, senza la dovuta autorizzazione, e riprodotti nei termini scorretti sopra citati con l’aggravante di perseguire lucro da questi.

Tuttavia, la miglior forma di tutela da parte nostra a tali atteggiamenti, è comunque la presa di coscienza di tali diritti, sia dal punto di vista di autore che dal punto di vista di editore inter nos.

Il rispetto di tali diritti infatti, oltre a facilitare la conoscenza della “bibliografia” dei rilievi e dell’evoluzione storica, ci pone in una situazione di vantaggio nei confronti di chi si avvale di tali pubblicazioni per scopi personali legati alla commercializzazione di qualsiasi immagine o dato, “NON CHE QUESTO SIA NECESSARIO CHIARAMENTE”, ma è sicuramente un modo che serve congiuntamente a tutelare chi viene leso in questo diritto ed a smascherare chi, della propria incapacità e malafede vuole trarne indubbio vantaggio.
Persone del tipo qui sopra descritte, si avvalgono della nostra ingenuità, per appropriarsi del lavoro e di competenze che non sono in grado di applicare o che sarebbe troppo oneroso perseguire, a danno, di una comunità che non vive per lucrare ma per veder garantiti i propri intenti, quelli di studiare e di esser messi in condizioni di continuare le proprie ricerche tramite finanziamenti non a scopo di lucro.

Ringrazio Roberto Tomesani per avermi reso meno rassegnato.

ATTENZIONE – Consiglio comunque a chi si identifica come parte lesa, a seguito della lettura di questa lettera, di ponderare bene le proprie iniziative e di rivolgersi comunque ad un buon legale che deve valutare bene se persistono i motivi per vantare tali diritti caso per caso.

Questa mia non vuol essere un’accusa a nessuno, ma un tentativo di non contribuire a far si che tutto resti come ora, ossia, confuso.



Antonio Danieli

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