Uno studio dell’INGV e dell’University College London evidenzia possibili scenari futuri per l’attività vulcanica della zona
Campi Flegrei: possibili scenari futuri in seguito alle variazioni del comportamento della crosta della caldera
Uno studio condotto da ricercatori dell’University College London (UCL) e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha evidenziato variazioni nel comportamento della crosta della caldera dei Campi Flegrei, che potrebbero portare a possibili scenari futuri in termini di attività vulcanica.
Secondo lo studio, la progressiva fratturazione della crosta della caldera flegrea sta attraversando un passaggio da una fase “elastica” a una “inelastica”.
In questa fase, ogni aumento di sforzo associato al continuo sollevamento viene immediatamente liberato sotto forma di terremoti.
“Nel 2016 avevamo ipotizzato l’incremento di sismicità, effettivamente verificatosi a partire dal 2019”, afferma Christopher Kilburn dell’UCL. “Questo risultato ci ha incoraggiato a continuare sulla strada intrapresa e dimostra quanto sia importante studiare i Campi Flegrei attraverso questo nuovo approccio che ci fornisce informazioni sul livello di fratturazione della crosta”.
Secondo Stefano Carlino dell’Osservatorio Vesuviano dell’INGV, nonostante il livello del suolo raggiunto oggi sia superiore di oltre 10 cm a quello raggiunto durante la crisi bradisismica del 1984, la deformazione inelastica sta avvenendo con un livello di sforzo inferiore rispetto al 1984.
Questo suggerisce che, nel corso degli episodi di sollevamento della caldera dei decenni passati, si sono prodotte modifiche dello stato fisico della crosta che potrebbero influenzare la dinamica vulcanica in atto e nelle sue evoluzioni future.
Gli autori dello studio ipotizzano diverse evoluzioni della fase attuale. Nel caso più critico, la persistenza del regime inelastico potrebbe portare alla rapida fratturazione degli strati crostali più superficiali, con precursori che potrebbero essere meno intensi di quanto generalmente attesi in caso di risalita di magma.
Tuttavia, la riattivazione progressiva e diffusa di fratture potrebbe causare la depressurizzazione del sistema idrotermale, con arresto del sollevamento del suolo e, quindi, la ripresa della lenta subsidenza.
Gli autori sottolineano l’importanza di analisi sempre più quantitative delle relazioni tra i segnali registrati in superficie dalle reti di monitoraggio e i processi che li determinano, indispensabili per fornire valutazioni più attendibili per la pericolosità vulcanica.
Al momento, i risultati della ricerca non hanno alcuna implicazione diretta su misure che riguardano la sicurezza della popolazione.
La ricerca pubblicata rappresenta un contributo potenzialmente utile in futuro per affinare gli strumenti di previsione e prevenzione di protezione civile.
La caldera dei Campi Flegrei è una delle aree vulcaniche più importanti del mondo, situata a pochi chilometri a nord-ovest di Napoli.
La sua attività è causata da movimenti di fluidi che si troverebbero a circa 3 km di profondità e che potrebbero essere costituiti sia da magma che da gas di natura vulcanica.
La ricerca pubblicata potrebbe quindi contribuire a una migliore comprensione della dinamica vulcanica della zona nei prossimi anni.