Di Riccardo Chiurli
Domenica 27 marzo 1983
40 ANNI FA.
Domenica 27 marzo 1983 la speleologia ha vissuto uno dei suoi più bei giorni
Con queste parole iniziava il comunicato
stampa del gruppo speleologico piemontese che rendeva nota la congiunzione fra la buca del cacciatore (abisso Claude Fighiera) e l’antro del Corchia portando la profondità complessiva del sistema ipogeo del monte Corchia a 1210 metri, la massima profondità in Italia e l’estensione planimetrica rilevata del sistema ad oltre 50 chilometri.
Tre speleologi del gruppo speleologico piemontese nel corso di una discesa dall’ingresso superiore (buca del cacciatore /Fighiera) entrati il 26 marzo, attraverso passaggi molto selettivi, avevano raggiunto le zone conosciute dell’Antro del Corchia in quel momento esplorate dal gruppo speleologico Fiorentino. Le regioni percorse che permisero il collegamento fra i due abissi furono dedicate al poeta persiano Omar Khayyam.
Quel fatto aveva stabilito un record di profondità per il sistema ipogeo del monte Corchia in Italia che comunque non provocò terremoti e cambiamenti.
Il monte rimase uguale come era stato per milioni di anni e lo è ancora oggi con molti altri collegamenti stabiliti dopo quello, negli ultimi 40 anni.
Semplicemente degli uomini erano riusciti a percorrere ambienti estremi che fenomeni naturali avevano creato e che erano percorsi dalle acque e dall’aria mai attraversati dagli esploratori di quelle grotte per le estreme difficoltà di accesso nonostante da tempo le attenzioni di tutti gli speleologi fossero concentrate alla ricerca di passaggi che consentissero il collegamento fra i due abissi.
Da anni, da quando nel marzo 1976, la buca del cacciatore dopo il passaggio della frana iniziale era diventato un immenso, profondo e complesso abisso il sogno di chi esplorava la montagna nelle sue profondità note ed ignote era quello di congiungere i due principali sistemi allora ancora parzialmente conosciuti. Dall’ingresso superiore, posto quasi sulla cima del monte Corchia, le esplorazioni a cui oltre ai piemontesi partecipavano speleologi di diversi gruppi italiani (Faenza, Pietrasanta, Maremma, Lunense) inizialmente puntavano ad intercettare la grotta 500 metri più sotto ma ben presto si trovarono ad affrontare i problemi immensi di un sistema che si ampliava in modo straordinario nel cuore della montagna lontano dalle regioni conosciute dello storico Antro del corchia. Altre esplorazioni in salita dall’ Antro del corchia iniziate da Bolognesi, Romani, pipistrelli di Fiesole e fiorentini pur aggiungendo importanti tasselli di conoscenza alla mappa della grotta non avevano permesso il collegamento tanto ricercato.
Così nel novembre del 1979 il gruppo speleologico Fiorentino iniziava la risalita della cascata del lago nero da cui si pensava arrivassero le acque dell’abisso soprastante. Anche gli speleologi fiorentini oltre alle difficoltà di fare una esplorazione in salita arrampicando pozzi di 3o 40 metri si trovarono ben presto col problema di ambienti enormi da esplorare sempre in salita che comunque si diramavano in molte direzioni per cui le energie messe in campo da un solo gruppo diventavano sempre più insufficienti man mano che gli ambienti da esplorare richiedevano 4 5 6 ore di avvicinamento dall’ingresso della grotta. Per questo ci fu anche un allargamento alla collaborazione con amici di altri gruppi con cui i fiorentini avevamo storicamente collaborato e con amici trasversali con cui c’era intesa. Questa nuova mentalità permise tra l’altro ad un certo punto nel 1982 anche la partecipazione di Giovanni Badino ad un campo esplorativo verso il pozzo follia che fu un primo passo per il superamento di incomprensioni e rivalità iniziate con la piratata alla buca del cacciatore in esplorazione da parte dei fiorentini e la pretesa di cambiare nome alla storica grotta catastata dagli albori della ricerca speleologia in Apuane.
Le esplorazioni dei fiorentini procedevano con molte difficoltà rallentate dal principale ostacolo costituito dal dover esplorare in salita ed in zone sempre più lontane e complesse che cominciarono a richiedere l’allestimento di campi interni per rendere più proficue le esplorazioni e dalla complessità degli ambienti sempre più lontani. Comunque proseguivano e malgrado i pochi esploratori impegnati la grotta conosciuta e rilevata puntava principalmente verso la buca dei gracchi, praticamente in cima al monte Corchia ed a pochi metri dalla buca del cacciatore. In altra direzione i fiorentini raggiunta una sella della forra principale esplorata in salita per oltre un anno avevano iniziato ad esplorare gallerie e pozzi che in discesa verso un collettore riportavano ad un lago sifone praticamente poche decine di metri sopra al lago nero da cui era partita l’avventura.
La caccia al record di profondità che forse poteva aver stimolato inizialmente le esplorazioni di tutti i gruppi coinvolti nel titanico lavoro sul monte Corchia era diventata nel tempo un gioco che coinvolgeva speleologi di tutta Italia, creava amicizie, permetteva di fare esperienze, ampliava le conoscenze, superava rivalità ed incomprensioni rendendo ormai inutile ed insignificante quel record di profondità di fronte all’importanza della conoscenza acquisita in quelle esplorazioni.
Prima o poi sarebbe arrivata la congiunzione fra i due sistemi, anzi c’è ne sarebbero state anche altre più agevoli da percorrere.
Quello che avvenne 40 anni fa resta comunque un risultato importante delle esplorazioni degli speleologi piemontesi e dei loro amici e delle loro intuizioni, certamente favorite dalla conoscenza dei rilievi puntualmente pubblicati dai fiorentini nel corso delle esplorazioni.
IL racconto delle vicende che portarono gli speleologi piemontesi a percorrere quei passaggi consentendo loro la traversata del sistema con l’uscita dalla buca del serpente in una punta di ben 32 ore di permanenza in grotta lo fece Giovanni Badino sul numero 80 di grotte (rivista del gruppo speleologico piemontese) e più sinteticamente sul numero 9 di speleologia (rivista della SSI).
Giovanni Badino è stato senz’altro la mente che ha guidato dall’ingresso alto l’esplorazione per la conoscenza della montagna.
NOI fiorentini in quelle ore eravamo in grotta con lo stesso intento più o meno nelle stesse regioni impegnati in altre direzioni che la grotta ci apriva e che noi casualmente dovevamo scegliere. Praticamente ci siamo sfiorati senza incontrarci. Comunque ci siamo divertiti e successivamente a quel risultato che portò il Corchia a raggiungere quel record di profondità l’impegno del gruppo speleologico Fiorentino non cessò.
ANZI la determinazione, soprattutto di Giovanni Adiodati presidente e trascinatore del gruppo, portò negli anni successivi a collegare le risalite iniziate dal lago nero alla buca dei gracchi in cima al monte Corchia superando la frana in fondo alla buca dei gracchi.
L’articolo originale con le foto delle pagine del resoconto originale con le pubblicazioni dell’epoca, è stato pubblicato da Riccardo Chiurli nella sua pagina Facebook: