A Roncobello, sulle prealpi bergamasche, si gira un film sull’incidente speleologico del Buco del Castello, in cui nel 1966 persero la vita Luigi Donini e Carlo Pelagalli, volontari del nascente CNSAS Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico. Impegnati nelle riprese anche quattro tecnici del Soccorso, abbigliati con attrezzature dell’epoca. La ricostruzione dell’incidente e la sua importanza per il nascente CNSAS.
Nel 1966 due volontari del nascente soccorso speleologico, Luigi Donini e Carlo Pelagalli, persero la vita durante un tentativo di salvataggio di quattro speleologi bolognesi bloccati a -200 in grotta da una piena, nella Buca del Castello di Roncobello (BG). Il tragico evento è una tappa fondamentale nella Storia del CNSAS Corpo Nazionale del Soccorso Speleologico.
Ora si sta girando un docufilm su quell’esperienza drammatica, sotto la direzione del regista Ginetto Campanini, mentre le riprese all’interno della grotta sono state girate da Francesco Grazioli.
Il film, che dovrebbe uscire nei primi mesi 2022, si intitolerà probabilmente «Luigi Donini, un ragazzo di San Lazzaro»
Alle riprese hanno partecipato anche quattro tecnici del CNSAS della Lombardia, che vestiti con abiti dell’epoca, canapi e scalette, hanno ripetuto gli eventi drammatici di quell’aprile 1966.
Ho sentito parlare del fattaccio della Buca del Castello, per la prima volta diversi anni fa, ad un Raduno nazionale di speleologia a Casola Valsenio, quando in un Cinema Senio stracolmo di speleologi provenienti da tutta Italia, sul palco Lelo Pavanello, Andrea Gobetti e Luca Calzolari, ripercorrevano le tappe e la Storia del nostro Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico, fatta purtroppo di incidenti, che hanno segnato e insegnato in maniera indelebile la “Via”.
Se oggi la speleologia in Italia non è più considerata così pericolosa, se il nostro CNSAS è tra i più esperti e forti del Mondo, lo dobbiamo a quelli che di volta in volta sperimentarono e trovarono soluzioni, oppure fallirono clamorosamente, sulla loro pelle, perdendo anche la loro stessa vita.
L’attrezzatura che si usa in grotta ad ogni uscita, non è frutto del caso, o delle manie di qualche istruttore di turno. Tutto ha un senso nell’attrezzatura speleo. Tutta la catena di elementi, dalla roccia che sta intorno al “chiodo” su cui attacchiamo la corda, fino al cosciale che ci regge il fondoschiena, è così perchè questo è il modo meno rischioso di andare in grotta, ed è il frutto di sperimentazioni, di incidenti e purtroppo anche di morti.
Anche per questo, a Luigi Donini, Carlo Pelagalli, che persero la vita nell’intervento di soccorso, e Gianni Ribaldone, è stata riconosciuta la medaglia d’oro al valore civile proprio in quella occasione.
«A marzo 1966» racconta Sergio Orsini, attuale presidente dela Società Speleologica Italiana, «si era deciso che serviva un corpo con le stesse tecniche d’intervento da insegnare a tutti i volontari. Roncobello fu il primo banco di prova e la conferma che quella era la direzione da seguire».
I tragici fatti della Buca del Castello
I fatti di quell’incidente sono raccontati nella cronaca di Gianni Ribaldone, “Le operazioni di soccorso nel Buco del Castello di Roncobello” e disponibili anche on line, nel numero 29 del 1966 del bollettino “Grotte” del Gruppo Speleologico Piemontese.
Il 24 aprile 1966, una squadra di sette speleologi bolognesi del GSB CAI-SCB ENAL, entrava nel Buco del Castello presso Roncobello (Bergamo) per disarmare la cavità, in cui a partire dal 19-20 marzo erano state effettuate due punte esplorative, per tentare eventuali prosecuzioni ed effettuare rilievi topografici e barometrici. Giunti a quota -200 m circa, dove si apre un pozzo di 65 m con terrazzini, tre uomini rimanevano sul pozzo e quattro scendevano a recuperare i materiali lasciati giù.
Quando alle 21 i quattro, che erano discesi sino al fondo per altri tre salti di 15, 23 e 30 metri, erano risaliti sino alla base del pozzo di 65 metri, furono impossibilitati a risalirlo perchè un corso d’acqua sotterraneo alimentato dalle violente piogge cadute nella giornata, si riversava con impeto nel pozzo.
Dopo 11 ore di attesa, i quattro gridavano ai tre compagni rimasti sopra il pozzo di uscire, e di far venire da Bologna altri speleologi con viveri, sacchi a pelo, carburo e pile, per poter sostenere un’attesa che forse si preannunciava prolungata.
Il fragore della cascata nel pozzo fu causa di un malinteso, in quanto si credette di capire che uno dei quattro che si trovavano giù fosse infortunato.
Il presidente della Società speleologica italiana Sergio Orsini che era tra quelli sopra, racconta: «La violenza dell’acqua impediva la risalita e creava come un aerosol che rendeva difficile respirare. Io uscii sfinito il 25 pomeriggio, dopo 26 ore e corsi in paese a cercare un telefono»
In serata partiva da Bologna una squadra di otto uomini del GSB CAI-SCB ENAL e dell’USB, con viveri, medicinali, materiali, ecc. A Bergamo un uomo si fermava a ritirare materiali di soccorso presso la locale stazione del Corpo di Soccorso Alpino del Cai e ad avvisare i responsabili delle squadre di soccorso speleologico di Milano e Torino.
Raggiunta la grotta, si decideva di far entrare intanto una prima squadra composta da Carlo Pelagalli e Luigi Donini che erano già pronti, per tranquillizzare i bloccati sull’imminenza dei soccorsi e far pervenire loro materiali di pronto soccorso per il presunto ferito.
Avrebbero dovuto fermarsi sopra il pozzo di 65 m, donde avrebbero comunicato a voce con i bloccati e calato i primi materiali, mentre intanto sarebbero arrivati i compagni, che seguivano a tre quarti d’ora di distanza con il resto dei materiali.
Giancarlo Zuffa, che era dato per ferito racconta: «“ci eravamo riparati e stavamo bene. Si sarebbe risolta come una brutta avventura, invece con le morti di Gigi e Carlo il contraccolpo psicologico fu pesante”».
Lelo Pavanello era sul fondo del pozzo da 65 metri e ha impresso nella memoria quei momenti: “Il martedì mattina, fradici e solo con qualche zuccherino per nutrirci, vedemmo le luci di Donini e Pelagalli, ma poi sentimmo i tonfi“. Forse per un errore di valutazione, caddero di parecchi metri sul fondo frastagliato. «Carlo era gravissimo, Donini cosciente» spiega Pavanello. «Parlava solo in bolognese e noi ci sentivamo un po’ a casa».
«Pelagalli ci morì tra le braccia» continua Pavanello. «Nella sacca dei feriti caricammo Gigi, ma subentrò un blocco renale».
Intanto arrivò un’altra squadra dall’alto sul pozzo di 65 m, non vi trovava Donini e Pelagalli, nè era possibile a voce comunicare con quelli del fondo per sapere notizie dei due e del presunto infortunato.
«Sono stato il terzo a scendere dopo Gigi» dice Andrea Morisi. «Arrivato alla bocca del pozzo, però, mi resi conto che era troppo rischioso. Attesi lì per un giorno le squadre da Trieste e Torino.»
Il mercoledì furono raggiunti dal piemontese Gianni Ribaldone, in seguito insignito della medaglia al valore civile così come Donini e Pelagalli, e morto a sua volta il luglio successivo sul Monte Bianco:
Giungevano intanto gli speleologi torinesi, che assicuravano Pasini in un vano tentativo di discesa, la violenza delle acque era terribile; inutilmente si tentava anche di calar giù un telefono o viveri e indumenti ai bloccati. Soltanto il giorno dopo si riusciva a spostare l’attacco delle scale e un uomo, Gianni Ribaldone, poteva scendere e raggiungere i compagni.
Veniva a sapere così che nessuno dei bloccati era ferito, ma purtroppo Donini e Pelagalli nel tentativo generoso di raggiungerli erano precipitati nell’ultimo tratto del pozzo, sotto la violenza della cascata, e si erano gravemente infortunati.
Il secondo non aveva più ripreso conoscenza, mentre le condizioni del primo lasciavano sperare il meglio, anche se per il momento non si poteva ancora tentare di portarlo fuori.
Il mattino del 29 finalmente potevano essere condotti in superficie i quattro bloccati del GSB, mentre Donini dopo esser stato medicato su istruzioni impartite da Gozzi dal terrazzino a metà del pozzo di 65 m, veniva sistemato in un sacco Gramminger ed infine era caricato sulle spalle di Ribaldone, che con lui riusciva a risalire il pozzo di 65 m; le sue condizioni non permettevano però di fargli subire i disagi d’un difficile immediato trasporto in superficie.
Mentre Carlo Pelagalli non riusciva a sopravvivere alle gravi lesioni riportate, si tentava in ogni modo di curare Donini. Ma Gigi non era in grado di riprendersi e, sebbene validamente assistito dai dott. Nadalini e Bruno Quarenghi, e sotto la direzione esterna del dr. Angiolino Quarenghi e dai compagni, il mattino di venerdì si spegneva anch’egli, lasciando costernati e increduli tutti gli speleologi accorsi da ogni parte per tentare di portarlo fuori.
Non rimaneva purtroppo che recuperare i due corpi senza vita e ciò aveva luogo dalla mattina di sabato 30 aprile sino al levar del sole di domenica 1 maggio.
Lunedì pomeriggio avevano luogo a Bologna le esequie a spese del Comune, e una gran folla accompagnava all’ultima dimora Carlo e Gigi.
In quei giorni sono affluiti a Roncobello da ogni parte i componenti le costituende squadre speleologiche del Corpo di Soccorso Alpino del CAI ed altre ancora. Hanno operato volontari dell’Unione Speleologica Bolognese, del GSB CAI -SCB ENAL, del GG Milano-SEM e dello S.C. Milano, del GSP CAI-UGET, del GSAM di Cuneo, dei gruppi triestini SAG, GTS e XXX Ottobre, dei faentini “Città di Faenza” e Vampiro, del G.S. Emiliano di Modena, del G.S. Reggiano del CAI, di S.Pellegrino, Como, Bergamo, Udine. Sono intervenuti anche alcuni minatori dell’AMMI, quando si è deciso di allargare con i martelli pneumatici alcune strettoie nella prima parte della grotta e, sin dai primi momenti, i volontari della delegazione di Bergamo del Corpo di Soccorso Alpino del CAI, diretti dal Dr. Bottazzi.
Chi era Luigi Donini
Il ricercatore emiliano Luigi Donini aveva 24 anni quando, il 30 aprile 1966, morì nel Buco del Castello, a Roncobello, durante le operazioni di soccorso mentre tentava di salvare quattro speleologi bolognesi imprigionati 300 metri sottoterra per via di una piena. Con lui perse la vita l’amico Carlo Pelagalli.
Luigi Donini aveva 24 anni, era uno studente di Scienze Naturali e un visionario.
Quando si scavava senza tanti paletti, s’era inventato coi compagni di scorribande la Pass, Pattuglia archeologica speleologica scientifica.
Missione: collezionare e divulgare, andando a scovarle loro, le meraviglie, in spedizioni infangate dentro grotte e caverne, che li portarono ad avvicinarsi ai primi volontari di quello che poi sarebbe diventato il soccorso speleologico.
Donini è raccontato dai suoi compagni, oggi ottantenni.
Andrea Morisi racconta: «Avevamo studiato insieme da geometra, lui era la mente e io il braccio, la sua spalla. Gigi, a casa, aveva una stanza nel seminterrato. Per non farsi scoprire dai genitori, scappava dalla finestra, lo caricavo sulla mia Lambretta e si andava a esplorare i colli bolognesi. Era eccezionale, studiava molto ed era un bravissimo fotografo».
Donini appuntava scoperte ma anche emozioni, come la meraviglia al cospetto delle guglie del Golfo di Orosei o la felicità provata lungo un sentiero illuminato dal sole “sfolgorante” del tramonto dopo un acquazzone: «Eravamo circondati da una natura fantastica, irreale e ne eravamo tutti coscienti, compreso forse il pastore che ci faceva da guida» scrive.
Morisi c’era sempre. «Su una cartina geografica, aveva notato un cratere indicato come vulcanico, a Baunei» un ricordo datato 1962 .
Il Film
Proprio sulla vita di Luigi Donini è in programma la produzione di un docufilm, che racconterà l’importanza della sua figura e il suo triste epilogo; la regia è di Ginetto Campanini e le riprese all’interno della grotta sono state girate da Francesco Grazioli.
Nel film, Donini, che è solo una voce fuoricampo, è tratteggiato anche attraverso i “suoi” luoghi. «Stiamo procedendo per temi, dal periodo della formazione, con avventure incredibili nei Gessi bolognesi, a quello delle battaglie con i cavatori» spiega il regista «per evitare che aree oggi tutelate venissero trasformate in discariche».
Il docu-film è promosso dal Comune di San Lazzaro di Savena, dove Donini nacque e dedicati a lui esistono già un museo, una scuola e una via.
L’opera, è prodotta e diretta dal regista Ginetto Campanini (68 anni, emiliano, collabora con la Rai e in ambito istituzionale): un lavoro pensato prima della pandemia ed entrato nel vivo nel 2021.
L’attaccamento al territorio di Bologna è centrale. Ma lo sono anche le incursioni altrove. Gli Appennini, le Alpi Apuane, l’isola di Capraia furono tutte zone battute dalla Pattuglia, soprattutto la Sardegna. «Ha rappresentato una sorta di Eldorado per loro» prosegue Campanini. «Si trovarono in questo paesaggio ancestrale, dove l’uomo è sospeso in un ambiente che vive anche da solo». Emerge bene nei diari, ripresi nel film.
Grazie alla collaborazione della IX Delegazione speleologica lombarda del CNSAS, Campanini ha girato alcune scene anche nei luoghi della tragedia: «Desideravo dare allo spettatore la sensazione del procedere lungo la grotta con la luce all’acetilene, che si usava allora». Era un altro mondo rispetto alle tecniche e attrezzature moderne.
Il CNSAS Lombardo, tra le finalità istituzionali, attua la promozione della sicurezza e la frequentazione attenta degli ambienti montani e ipogei, attraverso attività divulgative e culturali di vario genere.
Con le attrezzature e gli abiti dell’epoca, assistiti da una dozzina di tecnici, i volontari del Soccorso sono stati ripresi mentre ripercorrevano un tratto della grotta, con progressione su scaletta, replicando con le stesse modalità la discesa del 1966 dei bolognesi.
Per i tecnici lombardi della IX Delegazione CNSAS, la giornata di riprese è stata anche l’occasione per rispolverare un evento significativo della propria storia di soccorritori speleologici, oltre che un’opportunità per confrontarsi con materiali e tecniche di un’epoca passata e per raccogliere direttamente le testimonianze di alcuni protagonisti della vicenda: erano infatti presenti Sergio Orsini, Lelo Pavanello e Giancarlo Zuffa.
Il film, dal titolo provvisorio “Luigi Donini, un Ragazzo di San Lazzaro”, sarà disponibile nei primi mesi del 2022.
Il Presidente della Repubblica ha conferito a Luigi Donini e a Carlo Pelagalli la medaglia d’oro al valor civile alla memoria. La medaglia d’oro al valor civile è stata conferita anche a Gianni Ribaldone.
Fonti:
http://www.gsptorino.it/grotte/gr_029_1966.htm
https://www.corriere.it/sette/attualita/21_dicembre_27/speleologo-che-mori-salvare-compagni-sepolti-vivi-2d3ac90e-60ae-11ec-94e5-d59794d52fbf.shtml
https://www.bergamonews.it/2021/12/05/un-docufilm-per-ricordare-gli-esordi-del-soccorso-speleologico/480293/
https://bergamo.corriere.it/notizie/cultura-e-spettacoli/21_dicembre_03/a-roncobello-si-gira-film-vita-luigi-donini-speleologi-salvati-buco-castello-3e6b8f2a-540f-11ec-98a1-668fb2fc840e.shtml
https://www.mi-lorenteggio.com/cnsas-lombardia-un-docufilm-per-ricordare-gli-esordi-del-soccorso-speleologico-foto/
https://www.boegan.it/wp-content/uploads/2020/12/FERRI-Nicola-1971-Gli-incidenti-speleologici-in-Italia-nel-decennio-1961-1970.pdf