“Implicazione sociale dell’assunzione di rischi e della cultura del rischio nelle esplorazioni di grotte”, Ethnography of the underground world. Social implication of risk-taking and risk-culture in cave exploration, è questa la tesi del giovane dottore Lorenzo Cerra, 26 anni a settembre, che con uno studio applicato sul suo Gruppo Speleologico SAT Bindesi Villazzano, ha conseguito la Laura Magistrale in Sociology & Social Research presso l’Università degli studi di Trento.
Andrea Scatolini lo ha intervistato.
Lorenzo Cerra, 26 anni, “in realtà ancora 25, li compio a settembre”, dopo aver frequentato un corso di introduzione alla speleologia con il Gruppo Speleologico SAT Bindesi Villazzano, ha deciso di realizzare uno studio sociologico dell’universo racchiuso in un gruppo speleologico. La sua disamina, fresca e penetrante, ci porta al nostro primo amore di speleologi, al piacere di esplorare, di vivere la grotta e il gruppo speleo come condivisione, come momento di scambio e di crescita.La speleologia è intesa come attività di gruppo, che diventa cura e rimedio, supporto e alternativa ad ansie e pericoli. E’ anche una risposta della speleologia praticata in gruppo, alle frequenti critiche di speleologi che preferiscono praticare l’attività da singoli, sganciati da gruppi e organizzazioni spesso giudicate “pesanti”.
Lorenzo decisamente curiosa la scelta del soggetto della tua tesi, com’è nata l’idea?
In realtà il mio primo approccio alla speleo è stato con una gita turistica presso il “bus della spia” dove ho avuto modo di conoscere il gruppo di Villazzano, e dove nel frattempo stavo svolgendo delle osservazione per il mio tirocinio universitario. Dopodiché, la pratica mi ha particolarmente colpito, anche avendo da sempre un’attidutine allo sport e la passione per l’esplorazione de nuovo e dell’ignoto. Quindi, cogliendo l’occasione del corso di introduzione alla speleologia, ho deciso di dedicare il mio lavoro finale a questa disciplina molto particolare e poco studiata.
Qual è l’argomento della tua tesi e in quale materia ti sei laureato?
La tesi è in inglese, si intitola “Ethnography of the underground world. Social implication of risk-taking and risk-culture in cave exploration”, ovvero “Etnografia del mondo sotterraneo. Implicazione sociale dell’assunzione di rischi e della cultura del rischio nelle esplorazioni di grotte” e con questa ho conseguito la Laura Magistrale in Sociology & Social Research presso l’Università degli Studi di Trento. Ho cercato di mettere in luce tutti quegli aspetti della Speleologia che spesso sono messi da parte o non immediatamente evidenti, e di smentire l’assunto secondo il quale la pratica di attività come la speleologia nasca dalla ricerca del rischio e dell’adrenalina.
Si infatti sembra che il tuo studio ruoti proprio intorno al concetto di rischio. Ci racconti meglio in quale prospettiva?
Le prospettive teoriche incentrate sul ruolo del rischio e sull’attrazione dei partecipanti verso di esso, spesso assumono che la partecipazione ad attività come la speleologia sia volta alla ricerca del rischio e della sensazione di adrenalina che può scaturire da esso. Tuttavia, queste ipotesi teoriche possono riflettere conclusioni che non sono necessariamente correlate con l’esperienza dei partecipanti. L’intento di questa tesi è mettere in discussione il ruolo del rischio come un fattore attrattivo verso la pratica della speleologia, proponendo come esso rappresenti un elemento marginale. Dovrebbe essere chiaro che la speleologia (così come altre attività di montagna) spesso stigmatizzata sotto l’etichetta di attività “rischiosa” o “pericolosa” e quindi definita come un’attività individualistica, non si allinea alle esperienze e testimonianze degli speleologi che parlano del coinvolgimento e di una più ampia prospettiva su elementi totalmente diversi, quali le connotazioni sociali e culturali. Ciò che segue è anche la condivisione della stessa motivazione che porta queste persone a esplorare la parte nascosta dei sistemi carsici. Il desiderio di scoperta che rappresenta l’elemento principale che spinge gli speleologi ad intraprendere l’esplorazione, è un’ulteriore conferma di come il rischio venga eliminato dall’equazione della Speleologia.
Tu dici ” ho cercato di mettere in luce aspetti che di solito sono messi da parte: quali per esempio? a cosa ti riferisci?
Si, appunto, con: aspetti che sono spesso trascurati o che comunque sono poco enfatizzati quando si parla di sport di montagna, mi riferivo a tutte quelle pratiche sociali, tradizioni, norme e tecniche che garantiscono la buona riuscita della disciplina. Infatti, piuttosto che enfatizzare il ruolo del rischio e dunque concentrarmi sulla soddisfazione di quel desiderio di adrenalina che la speleologia può produrre, ho puntato i “riflettori” su quelle connotazioni sociali e regole, senza le quali questa disciplina cesserebbe di esistere o comunque condurrebbe a scenari fatali.
Immagino che le evidenze da te riscontrate e le riflessioni che ne derivano possano avere ulteriori implicazioni e applicazioni. Come potrebbe svilupparsi in futuro un’indagine come questa?
Queste considerazioni suggeriscono l’importanza di spostare l’attenzione da una visione individualistica ed egoista dell’attività, alla dimensione sociale che caratterizza completamente la pratica dell’esplorazione. Ciò porta ad un ripensamento potenzialmente radicale dell’attività avventurosa in grotta come qualcosa di necessario. Per un futuro sviluppo e perseguimento di questo studio, l’esplorazione delle grotte come inclusione sociale può essere discussa per una maggiore comprensione. Infatti, mentre un numero crescente di persone si cimenta in questa attività, un lavoro accademico può dare diverse prospettive e quindi aprire ad un approccio interdisciplinare sulla pratica della speleologia. Una prospettiva psicologica, ad esempio, potrebbe investigare come, un ambiente così ostile e di necessaria collaborazione, possa avere benefici positivi sulle attività collettive e/o sulla salute mentale dei partecipanti.
Ma al di là dello studio, cosa ti è rimasto dentro della speleologia?
Durante questo studio etnografico ho avuto l’opportunità unica di incontrare molte persone interessanti che orbitano attorno al mondo della Speleologia, molte delle quali ora posso chiamare amici. Studenti che praticano la speleologia per hobby, giovani, anziani, uomini e donne ed esperti che hanno iniziato ad esplorare fin da bambini. Ho avuto la possibilità di ascoltare storie, chiedere informazioni, seguendoli nella loro routine quotidiana e, infine, diventare uno di loro. Al contrario dello stereotipo dell’esploratore isolato e solitario, per esempio, ho scoperto che gli “speleo” sono molto aperti e amichevoli, devoti a trasmettere le loro esperienze e stare insieme in quello che amano di più. C’è solo passione, amicizia e divertimento, che forgiano il nucleo di questa attività; la maggior parte degli speleologi direbbe che un gruppo speleologico “E’ come essere in una famiglia”, in cui tutti si sostengono a vicenda e condividono lo stesso obiettivo. Sembra un luogo comune ma non lo è. Ho personalmente appreso molto rimanendo fianco a fianco con questi esploratori. A partire dall’aiuto pratico nei momenti di difficoltà che normalmente tutti hanno con il primo approccio con questa disciplina, cercando di familiarizzare con gli attrezzi e la progressione su corda, fino ad arrivare alla fondamentale fiducia negli altri membri del gruppo esplorativo. Sarebbe stato molto difficile senza il forte legame creatosi all’interno del gruppo, dove ogni speleologo gioca un ruolo importante. Come una catena nella quale gli anelli si stringono l’un l’altro. Se uno degli anelli si rompe, la catena perde la sua forza.
Grazie Lorenzo, ti devo una birra al prossimo raduno.
Grazie Dottor Cerra. Gli speleologi hanno tanto bisogno di uno come te, buone grotte, e buon cammino.
Grazie, spero anche io di incontrarti presto!
Abstract della tesi
Speleologia, esplorazione del sottosuolo, studio delle grotte, ricerca.
Qualunque sia il nome attribuito all’esplorazione pratica in grotta, l’attività speleologica all’interno del sistema carsico è spesso associata al rischio che deriva dalla sua pratica.
Le prospettive teoriche incentrate sul ruolo del rischio e sull’attrazione dei partecipanti verso di esso, spesso assumono che la partecipazione ad attività come la speleologia sia volta alla ricerca del rischio e della sensazione di adrenalina che può scaturire da esso.
Tuttavia, queste ipotesi teoriche possono riflettere conclusioni che non sono necessariamente correlate con l’esperienza dei partecipanti.
L’intento di questa tesi è mettere in discussione il ruolo del rischio come un fattore attrattivo verso la pratica della speleologia, proponendo come esso rappresenti un elemento marginale. Infatti, i partecipanti riconoscono che il potenziale risultato di un errore o di un incidente mal gestiti potrebbe portare ad uno scenario catastrofico. Tuttavia, accettare questa eventualità non significa che essi ricerchino il rischio. Infatti, gli esploratori intraprendono una preparazione meticolosa e cooperano come un gruppo forte e coeso al fine di ridurre al minimo gli esiti negativi. Questo concepisce una forte coesione sociale e una dimensione collettiva tra i partecipanti che, oltre al bisogno tecnico reciproco, sono motivati dallo stesso desiderio. Si vedrà infatti che, piuttosto che puntare alla scarica di adrenalina che l’esplorazione di grotte può offrire, il desiderio di scoperta di trovare nuovi posti sembra essere un elemento centrale di attrazione e motivazione nel coinvolgere gli esploratori ad ingaggiare questo tipo di attività.