La recentissima riscoperta di una grotta nello Yucatan ricca di tesori archeologici che per il momento non verranno prelevati, un giacimento paleontologico sommerso in Australia che nessuno tocca, il Governo cinese che da 50 anni vieta di scavare l’incredibile Mausoleo dell’Imperatore.
La ricerca archeologica e la comunità scientifica internazionale scelgono la lungimiranza, mentre in Italia ancora si discute della necessità di rimuovere dal suo sito naturale l’Uomo di Altamura, un reperto unico al mondo e di immenso valore scientifico. Scintilena ne ha parlato con il Prof. Paolo Forti, esperto di fama internazionale, già presidente della SSI e della UIS, che in una lunga conversazione regala una preziosa lezione di lungimiranza, pazienza e passione, tra aneddoti personali, rigore scientifico e ironia. Con uno sguardo al panorama mondiale.
Professore lei sicuramente sa della recentissima riscoperta di una grotta messicana chiusa 50 anni fa da un archeologo, con il giacimento di tesori risalenti alla civiltà Maya pressoché intatti e che anche oggi gli esperti hanno deciso di lasciare lì, in attesa di implementare un modello nuovo di studio archeologico delle grotte, che preveda l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia, la mappatura 3D e il contributo di discipline specializzate come la paleobotanica. A dicembre dell’anno scorso alcuni speleosub australiani hanno scoperto un importante giacimento di ossa del Pleistocene in una grotta sommersa, lo hanno documentato lasciandolo inalterato. Come giudica questa strategia?
Ciò che hanno fatto questi studiosi è ciò che deve essere fatto tutte le volte che ci si ritrova in grotta davanti a dei reperti, perché le grotte sono delle trappole di accumulo, le più importanti che esistono al mondo, e pertanto sono gli archivi naturali – e in certi casi archeologici – più grandi al mondo, che ancora noi sfruttiamo poco perché non le sappiamo leggere coerentemente ma che in un futuro, quando l’umanità sarà migliore e le tecnologie avanzate a dei livelli ora inimmaginabili, saranno in grado di restituire con un dettaglio assolutamente incredibile la storia pregressa di tutta la Terra.
Le faccio un esempio, un tempo quando si studiavano le concrezioni, per fare una datazione ci volevano 300-400 grammi di materiale, e questo significava distruggere totalmente la concrezione per poter fare una datazione uranio-torio. Oggi con le moderne tecniche bastano pochi milligrammi, praticamente un forellino con un piccolo trapano. In generale è assolutamente da escludere uno studio che distrugga il campione qualora le attuali tecniche non permettano di studiarlo in situ senza distruggerlo. L’ideale sarebbe studiarlo sul posto con le strumentazioni a disposizione e lasciarlo lì per le generazioni future, che sicuramente avranno tecniche più avanzate e saranno in grado di ricavare informazioni più complete e precise. Ciò vale per qualunque campione di qualunque natura.
A me è successo l’ultima volta pochi anni fa nelle Filippine, dentro la famosa grotta di Puerto Princesa “Underground River”. Su una delle pareti abbiamo scoperto lo scheletro, praticamente ancora in connessione anatomica, di un sirenide di 18 milioni di anni fa. Lo abbiamo fotografato e lo abbiamo lasciato lì, in attesa che vadano a studiarlo in situ gli esperti quando potranno effettuare analisi non distruttive.
Professore mi perdoni ma tutto questo non può non far riflettere sul destino del nostro Uomo di Altamura, e sulla polemica che da anni divide opinione pubblica, amministrazioni locali, speleologi, geologi e antropologi. Lei sa bene di cosa sto parlando, era presidente della Società Speleologica Italiana all’epoca del ritrovamento e come studioso ha avuto accesso a questo importantissimo reperto. Il team di ricerca guidato dall’antropologo Giorgio Manzi dell’Università “La Sapienza” che si sta occupando di analizzarlo, da anni spinge per l’estrazione del cranio e, come di recente dichiarato, dell’intero scheletro oggi incastonato nella roccia e ricoperto da concrezioni.
Chiariamo una cosa: L’Uomo di Altamura è un tesoro scientifico assolutamente eccezionale, che dovrà essere studiato nei minimi particolari, perché è un unicum, visto che è lo scheletro dell’Homo neanderthalensis più antico – 150.000 anni – e più completo che sia mai stato rinvenuto al mondo. Ma ciò non toglie che il suo studio deve poter avvenire senza rimuoverlo e quindi distruggerlo. Tirare fuori l’Uomo è un’autentica follia, perché per come l’ho visto io, non solo la posizione in cui si trova implica un concreto e alto rischio di danneggiarlo irreparabilmente se non distruggerlo, ma anche perché, per la sua collocazione, le operazioni di rimozione danneggerebbero irreparabilmente sia le concrezioni che lo ricoprono e lo circondano, sia gli splendidi teschi di animali preistorici sparsi ai lati del corridoio che porta allo scheletro. E questo non è un rischio ma una certezza. La grotta di Lamalunga, dove riposa l’Uomo, con tutti i suoi reperti è considerata per intero un prezioso giacimento paleontologico, fino ad oggi – per fortuna – sottoposto a molteplici vincoli di tutela.
Ma il principio è questo: se noi oggi siamo in grado di effettuare scansioni di qualunque cosa e analizzarne l’interno in dettaglio, abbiamo il dovere di attendere il momento in cui gli strumenti per fare questo tipo analisi diventeranno così piccoli o miniaturizzati da poter essere portati in grotta o nel sito del ritrovamento. E non si dovrà neanche aspettare molto perché in qualche parte del mondo non escludo sia già avvenuto. Le racconto un’esperienza personale per dimostrarle che non è un’assurdità: Quando gestivo la ricerca nella grotta dei cristalli di Naica, in Messico, un ricercatore della NASA ci chiese il permesso di accompagnarci per avere la possibilità di testare uno strumento miniaturizzato per le analisi non distruttive dei minerali, che doveva poi essere inviato su Marte. E in effetti lui portò con sé, in mano, un aggeggio grande quanto un pacchetto di sigarette. Era nientemeno che uno spettrofotometro, uno strumento che di solito occupa un intero tavolo di laboratorio. Quindi vede non sarebbe neanche un problema di costi, perché nella comunità scientifica c’è tanta concorrenza ma anche occasioni infinite di collaborazione e scambio, pure basato sul do-ut-des.
Ma allora perché da sempre insistono sulla rimozione, prima solo del cranio – addirittura inizialmente proposta come “temporanea”, poi successivamente definitiva con finalità di musealizzazione e infine ora si parla di ostensione dell’intero scheletro?
Per desiderio di gloria, prestigio, fama e premi internazionali. Spiace dirlo ma è così, la ricerca scientifica e accademica è anche questo e lo dico senza giudicare, lo capisco, sono stato per decenni ricercatore universitario anch’io, so come funziona. Poi la si può ammantare di scopi più alti, di arricchimento ed evoluzione per l’intera umanità, ma la verità vera è quella, il tentativo di studiare a qualunque costo un reperto è desiderio di gloria personale. Ma bisogna essere lungimiranti, la ricerca scientifica, soprattutto in ambito naturalistico e archeologico, è imprescindibile dalla tutela e dalla pazienza, del resto ormai la comunità internazionale cammina in questa direzione, l’attesa è l’approccio più logico e giusto. E il futuro è il motivo per il quale non si scava mai completamente un sito archeologico. Ce lo ha insegnato l’esperienza, pensi alla tomba di Tutankhamon, per portarla alla luce distrussero gran parte dei reperti e altri furono danneggiati in modo irreversibile. Lei all’inizio ha fatto due esempi virtuosi ma ce n’è uno più vecchio e ancora più calzante: il Mausoleo dell’Imperatore cinese dell’esercito di Terracotta nascosto sotto una collina artificiale. La sua collocazione fu scoperta con il rinvenimento casuale delle prime statue dei soldati nel ‘74, dalle fonti storiografiche si sa che è un complesso imponente, con migliaia di statue a grandezza naturale, carri, pietre e materiali preziosi, la sua esplorazione potrebbe rivoluzionare la conoscenza della storia della Cina, eppure il governo cinese non ha mai consentito gli scavi e sa perché? Perché aspetta che sia sviluppata una tecnologia che consenta di entrarvi senza arrecare danni, e che oggi non esiste in alcuna parte del mondo.
In tutti i campi della scienza la tecnologia ha fatto passi da gigante e, diciamo la verità, le ricerche di cui parliamo non serviranno oggi a curare una pandemia, a salvare la vita di migliaia di persone, per cui non è grave aspettare 100, 50 anni, forse anche meno, ci sono talmente tante cose più urgenti da studiare al mondo…
Lei parla di fama internazionale, ebbene grazie a ciò che è stato finora realizzato dello studio, l’Uomo di Altamura ha anche il primato di più antico Neanderthal da cui sia stato estratto e analizzato il DNA, sono riusciti già a ricostruire il suo aspetto, la sua altezza, l’incarnato. Però si tratta del DNA mitocondriale e si dice che vogliano tentare di estrarre il DNA nucleare dalla base interna del cranio, la parte incastonata nella roccia, per poter ricostruire la mappa dell’intero genoma. Tuttavia i più recenti studi hanno dimostrato che il DNA nucleare si degrada al doppio della velocità di quello mitocondriale, quindi il rischio che con le tecnologie oggi a disposizione non si ottenga nulla sotto quel profilo è comunque alto. I ricercatori hanno poi espresso la necessità di analizzare l’esatta morfologia cranica, la mandibola e anche i denti, per ottenere ulteriori informazioni, sulle abitudini alimentari per esempio.
Ecco ha detto bene, il prof. Manzi è un luminare nel suo campo e ha già ottenuto risultati “storici”, penso che possa accontentarsi, potrebbe aspettare che sia un suo nipote a dargli questa soddisfazione, l’orgoglio sarà persino più grande, lo garantisco! E comunque su Lamalunga ci sono diversi vincoli, il primo dei quali è quello archeologico e poi paesaggistico. Finché il Ministero resiste e non molla, né il prof. Manzi né altri potranno tirare fuori alcunché.
Ecco a tal proposito il team di ricercatori ora sta chiedendo alle istituzioni di decidere a favore della rimozione perché la grotta e soprattutto il reperto mostrerebbero segni di deterioramento. Il Prof. Mario Parise, geologo, speleologo e docente dell’Uniba, ha chiesto più volte di poter esaminare i dati che dimostrerebbero il danno, di condividerli con la comunità scientifica affinché vengano analizzati da tecnici del settore, ma finora non ha ricevuto risposta.
Non ha ricevuto risposta perché quei dati non esistono, seppur un’azione di monitoraggio pluriennale era prevista dal progetto KARST. Per ottenere informazioni rigorose in tal senso, bisognerebbe installare dei sensori in particolari punti della grotta, attendere mesi, meglio anni, e registrare le eventuali variazioni. Un’operazione che non è mai stata fatta.
Questo del deterioramento onestamente appare più come un pretesto, creato grazie ad un appiglio. Qualche anno fa, infatti, gli speleologi hanno scoperto che si stavano formando sulle pareti e in alcuni punti dello scheletro delle minuscole alghe verdastre. Tutti i geologi e biologi sanno che quelle alghe si formano a causa della luce, infatti il primissimo progetto di valorizzazione, precedente a quello attuale, prevedeva luci e telecamere puntate sul reperto per una trasmissione esterna dell’immagine h24. Anche quella una follia, ma erano altri tempi, appena scoperte le alghe hanno provveduto a smontare tutta l’apparecchiatura e a portarla fuori dalla grotta. Le alghe senza la luce muoiono, ora non c’è già più nulla.
Ad ogni modo ho sentito dire spesso a proposito di questa faccenda da più parti “lasciamo fare agli esperti e a quelli competenti in materia”, giustissimo, se mi sbaglio e questi dati esistono, devono essere analizzati da persone qualificate in ambito carsico-speleologico, per esempio da studiosi come Mario Parise o Jo De Waele, che ha preso il mio posto all’Università di Bologna. Qualcuno che possa guardare con occhi scientifici lo stato di salute della grotta, che possa suggerire un piano per fermare l’alterazione, e se giudicheranno l’alterazione irreversibile, allora forse, tra un centinaio d’anni, sarà il caso di rimuovere le ossa, e per allora ci saranno tecnologie inimmaginabili. Il degrado ci mette moltissimo tempo ad agire sulle concrezioni, glielo garantisco, e finché le concrezioni non vengono corrose, per lo scheletro quello resta il posto più sicuro e protetto.
Ecco, quindi il tempo per fare questo c’è? Perché tra coloro che si oppongono c’è chi dice che ormai bisogna agire in fretta, il degrado è inarrestabile e veloce, e porta l’esempio delle pitture rupestri della grotta francese di Lescaux…
Chi fa quest’esempio o è completamente ignorante in materia o è in mala fede. Le pitture di Lescaux sono fatte di materia organica, di grasso animale e polveri vegetali, le spore e le muffe introdotte dai visitatori quando la grotta era turistica, trovano una base trofica ideale nelle pitture, le aggrediscono e continuano a proliferare anche ora che quello scrigno è stato chiuso. Il caso di Lamalunga è diverso, le ossa sono assolutamente inglobate in strati di diversi millimetri di carbonato di calcio, che è materia inorganica. E ciò che hanno trovato sono alghe formatesi a causa delle luce, non spore.
E se poi sono così preoccupati delle muffe che degradano, dovrebbero innanzitutto smetterla di entrarci in 10-12 alla volta, come accadeva all’inizio ed è accaduto fino all’estate scorsa, con l’autorizzazione della soprintendenza. Già questa è una cosa che grida vendetta, in grotte così delicate non si entra in più di 2-3 per ciascuna sessione di ricerca.
Un dibattito scientifico vero su questo tema non c’è mai stato, l’opinione pubblica si è schierata a favore degli speleologi altamurani e non, contrari all’estrazione. Le istituzioni e gli enti locali mantengono invece una posizione ambigua.
Sì finché io sono stato nel Direttivo nella SSI, nelle varie discussioni e votazioni, gli speleologi, tra i quali anche grandi studiosi e accademici come il compianto Giovanni Badino e altri geologi, si sono schierati contro l’estrazione. La posizione del Comune più che ambigua si è dimostrata oscillante e questo è incomprensibile. Capisco che le promesse riguardo ad una musealizzazione ad Altamura contenute nel vecchio e nuovo progetto di studio implicano un indotto e interessi economici che il Comune non può ignorare, tuttavia è ingenuo da parte degli amministratori locali credere che un reperto di importanza mondiale riesca a restare ad Altamura una volta estratto. E’ una cosa che nessuno può garantire, nemmeno il team di ricerca, al quale diciamocelo, non importa nulla del destino delle ossa una volta analizzate ed estratti i dati, né che le meravigliose concrezioni coralloidi che disegnano le arcate sopraccigliari si danneggino nell’estrazione. Non è cinismo, è che semplicemente non ricade nel loro ambito di studio e di interessi. L’estrazione è invece contro gli interessi di Altamura, perché una volta estratto lo scheletro, la città rischia di ritrovarsi più povera di prima, con il reperto trasferito chissà dove pochi si ricorderanno da dove proviene, la storia è piena di questi casi. Senza contare i danni che la grotta di Lamalunga subirà per le operazioni di estrazione, perderà valore anche quella.
Prima parlavamo di Lescaux, dopo il deterioramento i francesi hanno riprodotto fedelmente la grotta in scala 1:1 accanto alla cavità originale, e i turisti possono visitarla in tutto il suo splendore, senza arrecare ulteriori danni alle pitture originali. E’ una soluzione in cui vincono tutti, viene tutelato il bene, continua ad esserne valorizzata l’importanza culturale e l’indotto turistico prosegue. Idealmente potrebbe essere una soluzione anche per Altamura, evitando l’estrazione. D’altronde la musealizzazione ormai è una scelta antiquata, il resto del mondo va in direzione di una “fruizione esperienziale” per gli utenti, l’Italia come al solito resta indietro anni luce…
Glielo ribadisco, le leggi ci sono e finché non le cambiano si rispettano. Capisco la preoccupazione dei colleghi speleologi e della comunità locale, del resto non è che io non abbia fiducia nelle istituzioni o nella sovrintendenza, ma sono pur sempre cariche politiche. Io ho fatto ciò che ho potuto, all’epoca ho fatto la mia parte e ho insistito, insieme agli altri, perché fosse posto il vincolo, grazie a questo l’Uomo è durato e rimasto integro trent’anni più di quel che sarebbe durato se non ci fossimo riusciti. Se ora lo tireranno fuori, sarà solo un altro degli scempi italiani, avremo perso una cosa unica al mondo, ma pazienza, le generazioni future giudicheranno la nostra amoralità e le capacità intellettuali delle persone che hanno gestito questa vicenda e preso certe decisioni. Io finché potrò, per quel che serve, combatterò. L’ho già detto più volte a chi dovevo, sono anziano ma vivo bene, eppure sarei pronto a barattare due anni di quel che resta della mia vita affinché quel pover’uomo resti a riposare nella sua tomba.
Chi è Paolo Forti. Laureato in chimica e successivamente spostatosi al dipartimento di geologia, è stato il primo studioso italiano a portare la speleologia in Accademia, ricoprendo la carica di professore di Speleologia all’Università “Alma Mater” di Bologna. Già Presidente della Società Speleologica Italiana e Presidente emerito dell’UIS Union Internationale de Spéléologie, per la sua attività scientifica in alcuni dei siti geologici più importanti del mondo, ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti internazionali
Per approfondire:
Scoperta degli speleosub australiani
Il Mausoleo dell’Imperatore Cinese