Riscoperta nel celebre complesso di rovine Maya di Chichen Itza, in Messico, una grotta con circa 150 oggetti rituali pressoché intatti, risalenti al 1.000 d.C. Una seconda opportunità, per gli studiosi, di fare luce su alcuni misteri di questa civiltà, con tecniche e metodologie avanzate, grazie alla scelta dell’archeologo che 50 anni fa la scoprì e la sigillò dopo un breve report alle autorità. Gli archeologi messicani che la stanno esplorando dal 2018, hanno deciso di non rimuovere per il momento il prezioso vasellame, in attesa di implementare un nuovo modello di studio archeologico delle grotte, che preveda l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia, la mappatura 3D e il contributo di discipline specializzate come la paleobotanica.

Scoperta grotta Maya
Un tesoro Maya scoperto all'interno di una grotta nello Yucatan - Foto del National Geographic

Il 4 marzo scorso gli archeologi messicani hanno annunciato di aver riscoperto una grotta nel celebre complesso di rovine Maya Chichen Itza, nella penisola dello Yucatan, in Messico, con al suo interno un giacimento archeologico di oltre 150 oggetti di culto in ceramica e argilla intatti, che l’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia del Messico (INAH) fa risalire al 1.000 d.C.

Il “tesoro” rinvenuto dagli esperti, sembra fosse destinato ad auspicare la pioggia, infatti conta 155 tra bracieri e bruciatori cerimoniali di incenso in ceramica, contenenti alcuni frammenti ossei e materiali votivi bruciati, oltre a scatole di argilla e altri vasi, che ricalcano le sembianze di Tlaloc, il dio della pioggia del Messico centrale. I Maya avevano però anche un loro dio della pioggia, Chaac, e probabilmente avevano importato Tlaloc da altre culture preispaniche; l’analisi di questi reperti servirà anche a fare luce sul livello di contatto e di influenza fra culture mesoamericane differenti.

L’esplorazione della grotta Balamku, la grotta del “dio giaguaro”, è iniziata nel 2018, dopo che i locali l’hanno segnalata ai ricercatori impegnati nel “Great Maya Aquifer Project”, un progetto di esplorazione che mira a documentare la miriade di canali sotterranei sotto piramidi, patii e templi che occupano l’area che si estende per circa 3 km quadrati. Eppure non si tratta di una nuova scoperta, ma di una ri-scoperta, dal momento che i residenti ne avevano parlato circa 50 anni fa ad un altro archeologo, Víctor Segovia Pinto, che all’epoca ordinò di sigillarla dopo averne scritto in un breve rapporto che fu essenzialmente dimenticato negli archivi governativi.

La grotta si trova a circa 2,75 km ad est della principale piramide Kukulkan, conosciuta anche come El Castillo, “Il castello”. Al momento gli archeologi hanno esplorato circa 460 metri della grotta, e non escludono che altre stanze segrete piene di reperti possano celarsi nel cuore del complesso di Chichén Itzá. Guillelmo De Anda, l’archeologo subacqueo che ha guidato l’esplorazione, ha raccontato alla stampa che, solo per accedere alla prima delle sette camere identificate finora nella grotta di Balamku, hanno dovuto strisciare per alcune centinaia di metri, poiché in alcuni punti è alta solo 40 centimetri, e verosimilmente gli antichi Maya facevano lo stesso per depositare le loro offerte votive.

Gli esperti hanno elogiato la decisione di Pinto di sigillare la grotta, poiché lasciandola inalterata, ha dato agli scienziati odierni una seconda e incomparabile opportunità di comprendere la cultura Maya. Tuttavia, le risposte non arriveranno rapidamente, poiché la squadra ha deciso di lasciare per il momento tutti gli oggetti nella caverna, in attesa di implementare un modello totalmente nuovo di studio archeologico delle grotte, che preveda l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia, la mappatura 3D e il contributo di discipline specializzate come la paleobotanica: “Adesso ci troviamo di fronte a un contesto protetto, con una grande quantità di informazioni, incluso materiale organico, che può essere utile a comprendere lo sviluppo di questa antica civiltà”, ha dichiarato de Anda.

Fin quando lo studio dei reperti archeologici rinvenuti nelle caverne non iniziò a prendere piede negli anni Ottanta, gli archeologi erano più interessati all’architettura monumentale delle caverne e ai manufatti ben preservati piuttosto che all’analisi dei residui e dei materiali trovati intorno agli oggetti. Quando furono condotti gli scavi nella vicina grotta di Balankanché, nel 1959, i manufatti venivano regolarmente rimossi dai loro siti, ripuliti e successivamente rimessi al loro posto. Di tutti gli inceneritori di incenso trovati in quel luogo, per esempio, ne è stato analizzato soltanto uno, e invece l’analisi del materiale organico al loro interno, avrebbe potuto fornire evidenze certe sulla cronologia del sito.

Secondo gli esperti di archeologia delle religioni, per gli antichi Maya, le caverne e i cenote erano considerati la porta degli inferi, e dunque rappresentavano alcuni fra i luoghi più sacri, tanto da influenzare persino la pianificazione del sito e l’organizzazione sociale. Un credo che evidentemente ha lasciato le sue tracce anche negli attuali residenti, i quali hanno chiesto agli scienziati di eseguire un antico rituale prima di varcare l’ingresso della grotta.

In attesa di studi futuri sui nuovi ritrovamenti, i ricercatori proseguono l’esplorazione alla ricerca del collegamento con un cenote che si crede giaccia sotto la piramide di Kukulkan, del resto l’acqua è il fulcro di Chichen Itza, il cui vero nome significa “alla bocca del pozzo dei Maghi dell’Acqua” in lingua Maya.

Fonti:
https://apnews.com/ec4e5ea197cb470fb2dabf94833bf259

https://www.westernjournal.com/l/loren-eaton/breaking-historical-discovery-cave-full-untouched-mayan-artifacts-unearthed/

http://www.nationalgeographic.it/wallpaper/2019/03/06/foto/maya_grotta_intatta_dopo_1000_anni-4322933/2/#media

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