La Speleologia, il “discorso sulle grotte” non è considerata una scienza, ma una “disciplina sportiva tecnico scientifica” che si occupa dello studio delle cavità sotterranee.
Questo assunto è alla base di ogni corso di introduzione alla speleologia, di ogni ragionamento con persone della strada, con Enti, istituzioni, altre associazioni; ma cosa è e chi è veramente uno speleologo? Cosa fa, o cosa dovrebbe fare, per essere definito tale?
Io non ho certamente una risposta a queste domande, ma nel corso degli anni mi sono fatto un’idea romantica di quello che dovrebbe sapere uno speleologo.
Essendo uomini, esploratori, esseri senzienti che hanno intrapreso il cammino in questa disciplina, saremmo obbligati ad occuparci di più campi possibili della speleologia, e invece, ahimè, non è così. Non è quasi mai così.
La componente scientifica è demandata a qualcun altro e troppo spesso si insegna solo ad andare su corda: condizione principale per non ammazzarsi ma sicuramente non sufficiente per essere speleologi; così assistiamo a corsi su tecniche d’armo, di soccorso, di autosoccorso, di tenuta dei materiali, di nodi, disquisizioni su quale nodo tiene di più, su come si fa un paranco, su come si mettono gli ancoraggi, se è meglio il multimonti o il vecchio fix, come si mette la longe, doppio attacco sull’imbraco, discensore a C e rimando alla romana ecc… è speleologia? risposta secca: NO!
Quando sono entrato in grotta le prime volte, ma ancora oggi, la prima idea che mi è venuta in mente è stata: “quanto è grande questa grotta? e come cacchio si è formata?”
Deve esserci nell’animo di ognuno questa domanda, perchè non è una cosa normale che sfidando la gravità ci sia del vuoto sotto a rocce pesantissime.
A queste due domande io, speleologo anziano, già vacillo, e mi accorgo di quanto sono ignorante e quante cose non conosco della speleologia, quindi parlerò sicuramente di cose che non conosco, e se qualcuno vorrà aggiungere altri argomenti a questo articolo sarò ben lieto di farlo.
Quanto è grande una grotta?
Bella, prima, semplice domanda, la misurazione della grotta. Bisogna conoscere la topografia, e anche la geometria, per poter “misurare” una grotta e dargli una forma. Dare forma al vuoto. Misurare la dimensione di una grotta, con qualsiasi mezzo, analogico o digitale, è l’inizio di una ricerca scientifica: nel momento stesso stesso in cui misuro un fenomeno fisico e ne ricavo dei dati, sto effettuando una ricerca scientifica (Cit. Daniela).
Ma basta fare un rilievo, ossia definire le dimensioni della grotta e riportarle su carta o su un supporto magnetico, per definire lo spazio occupato da una grotta? No.
Per prima cosa la grotta va relazionata fisicamente con l’esterno, attraverso una unica interfaccia: l’ingresso.
Posizionare l’ingresso in un punto esatto della superficie terrestre è lavoro da geografo, cartografo. Perchè inserire una grotta con i suoi dati in un archivio e rendere disponibile questa informazione ci nomina automaticamente cartografi, geografi ed esploratori, perchè stiamo ampliando la conoscenza del mondo, stiamo aggiungendo informazioni al territorio lavorando sulla cartografia. Stiamo costruendo e ampliando la geografia dei monti, che è si quella di superficie, ma anche geografia sotterranea che si sviluppa su tre dimensioni. Chi non mette a disposizione dei ricercatori i dati di quanto esplorato, chi non condivide la conoscenza, non è un geografo.
A questo punto finiscono quasi le mie competenze, praticamente la mia capacità di studio di una grotta è quasi prossima alla fine, il mio livello di conoscenza, di saper fare, è alla saturazione, ma ancora troppe domande mi arrovellano, e trovare risposte a queste domande comporterà sempre la gemmazione di nuove domande.
Lo speleologo scienziato si pone domande e cerca risposte in base all’osservazione delle cavità che frequenta.
Come si è formata una grotta?
Questa è una domanda bastarda, a cui non so rispondere se non in modo approssimativo, certo non conosco a fondo nessuna materia per poter dare risposte precise. Al corso di introduzione alla speleologia si dice che le grotte le ha formate l’acqua, con una reazione chimica (che non ricordo a memoria) che descrive la dissoluzione del calcare ad opera dell’acqua e dell’anidride carbonica in un processo che è anche reversibile…
Qui entra in ballo la chimica, che è alla base dei fenomeni di dissoluzione della roccia… e si, della roccia. Il calcare è roccia, ma per essere più precisi è un tipo di roccia, che è facilmente solubile in acqua, facilmente fratturabile, ma tutti stanno pensando che il calcare non è l’unica roccia che si lascia “scavare” dall’acqua, e che di calcare ce n’è di tanti tipi! Abbiamo grotte nel marmo, nelle arenarie, nelle evaporiti? nelle quarziti, nei gessi… troppi tipi di roccia! La conoscenza dello speleologo esploratore deve penetrare nella geologia, perchè ogni roccia si lascerà aggredire in maniera diversa dall’acqua e dall’anidride carbonica, o dalle acque sulfuree, e darà vita a grotte che si svilupperanno in maniera assolutamente diversa, che dipende da tanti fattori. Una grotta entra nel sottosuolo e attraversa strati di roccia depositata in milioni di anni in acque basse.
Il geologo si occupa soprattutto della parte piena della materia che compone il sottosuolo, mentre noi speleologi siamo geologi a cui interessa la parte vuota della stessa materia. Siamo più geologi del negativo piuttosto che alpinisti a testa in giù, come ci definisce una brutta frase che ci vuole incompetenti disarrampicatori del mondo sotterraneo.
Ma mica si formano solo con l’acqua le grotte… ci sono le grotte vulcaniche per esempio, e lo sanno bene i siciliani che buona parte della loro attività la svolgono in tubi di lava, balzati alla ribalta dell’interesse mondiale dopo che gli scienziati ne hanno osservati su Marte e sulla Luna, offrendo la soluzione al problema di costituire i primi insediamenti umani su altri pianeti. Grotte vulcaniche, tubi di lava o lavatubes, possono rivelarsi pericolose trappole a causa dei gas che possono essere presenti anche in concentrazioni mortali, e un pò di vulcanologia non guasta per studiare queste particolari cavità formate da colate di roccia liquida sotto la crosta di lava che si raffredda in superficie.
Torno a ragionare sull’acqua, che ha formato una grotta…
E’ facile immaginare un fiume che scorrendo nella valle erode piano piano le sue rive e il fondo del suo letto, andando a formare una valle più o meno incisa, con al centro nel punto più basso l’acqua che continua a lavorare…
Ma dentro una grotta… dove sta la valle incisa percorsa dall’acqua in basso? c’è qualcosa che gli rassomiglia nei grandi saloni e canyon di grotte percorse da veri e propri fiumi, ma la maggior parte delle grotte che frequento io, mica ce l’hanno un fiume così grosso che le lavora… qui l’acqua fa cose strane.
Intanto mi è venuto in mente che a proposito di fiumi in grotta sarà necessario calcolarne la portata, vedere dove vanno a finire i fiumi, dove stanno le sorgenti, dove va l’acqua delle grotte e da dove viene l’acqua che beviamo. In questo ci aiuta l’idrologia sotterranea che definisce corpi idrici, acquiferi carsici, portate, livelli di troppo pieno, zone di assorbimento. Se può sembrare un discorso secondario, pensiamo solo che la Speleologia trova la prima applicazione pratica a Trieste, quando gli austriaci preoccupati del misero approviggionamento idrico della città danno mandato ad alcuni geologi/geometri/ingegneri di studiare il corso sotterraneo del fiume Reka/Timavo che si inabissa a San Cansiano, in Slovenia, passa sotto la città e riemerge a pochi metri dal mare vicino Trieste, dando vita ad una delle grandi epopee dell’esplorazione umana: la ricerca del Reka Timavo, che ancora oggi va avanti.
Quando l’acqua è poca scava ugualmente nelle grotte. Ma come fa? Aspetta la piena? Lo studio delle morfologie dei vuoti, delle loro sezioni, ci dice che l’acqua dissolve la roccia in qualche altro modo, non solo strisciandoci, ma anche solo andando a condensarsi sulle pareti fredde della roccia. I pozzi spesso sono circolari. Come faceva l’acqua ad arrivare dalla parte opposta di dove scorre l’acqua? E ci arriva, con goccioline condensate.
La condensa di goccioline, all’esterno di una grotta si chiama meteorologia. Abbiamo anche una meteorologia sotterranea che unita ad alcuni fenomeni chimici aggredisce una roccia carsificabile lungo vie preferenziali che sono i vuoti che si formano in seguito a fratture iniziali del banco roccioso.
Sono solo all’inizio dell’analisi di quanta scienza serve allo speleologo per definire cosa è una grotta. Finora ho cercato di pensare solo al vuoto.
Tanta gente che sa che pratico questa disciplina, mi chiede almeno una volta “si ma cosa c’è dentro una grotta, cosa ci trovate?”
Cosa c’è dentro una grotta?
Se considerare una grotta come un luogo da attraversare nel più breve tempo possibile per raggiungere il fondo più fondo possibile e tornare in superficie prima possibile realizzando una performance atletica di tutto rispetto è sicuramente un limite nella visione della speleologia, saremmo molto limitati come speleologi se ci limitassimo a pensare alla grotta come un ambiente vuoto creato dall’erosione dell’acqua o da altri fenomeni fisicochimici. La Speleogenesi, ossia i processi che portano alla creazione di una grotta deve fare i conti pure con la reversibilità di quella maledetta formula della dissoluzione del calcare!
Tra le prime cose che si possono osservare subito nelle grotte, ci sono sicuramente le concrezioni: Stalattiti, stalagmiti, colonne, eccentriche, colate, pisoliti, vele, cristalli. La deposizione di materiale nelle grotte assume le forme più strane, strabilianti, emozionanti. Sicuramente è sempre chimica, probabilmente anche fisica, in alcuni casi si parla anche di microbiologia ma rimango sempre sorpreso di fronte a tanta varietà di forme e colori e sarebbe già tanto riuscire a capire se quelle concrezioni si sono formate in aria, o sott’acqua.
Le concrezioni essendo depositi di materiale possono raccontare molto del periodo in cui si sono formate: possono raccontarci di piene, di concentrazioni di particolari minerali, di periodi di siccità, quindi attraverso lo studio delle concrezioni possiamo effettuare studi climatici del passato.
Un passato quanto lontano? Sarà necessario studiare la velocità di accrescimento delle concrezioni e la loro composizione chimica per avere un quadro più preciso dell’ambiente esterno.
Nelle grotte non si deposita solo calcare, ma si deposita sul fondo e sul pavimento una quantità infinita di materiale proveniente dall’esterno o di materiale insolubile delle rocce che componevano la parte piena della montagna. Attraverso lo studio dei riempimenti è possibile ricorstruire il passato del nostro territorio e del nostro pianeta. Concrezioni rotte, stalattiti oblique, sale di crollo con immensi massi sul fondo, sono i testimoni muti di antichissimi terremoti, così come immense frane raccontano l’evoluzione della crosta terrestre che non si ferma mai.
La grotta è un archivio del tempo.
Gli archivi del tempo geologico, dei paleoclimi, del paleosuolo, dei paleoterremoti sono leggibili in quasi tutte le grotte che frequentiamo, ma alcune hanno la particolarità, unica, eccezionale e affascinante di aver ospitato al loro interno uomini e animali ormai scomparsi.
Ossa di animali di tutti i tempi offrono alla paleontologia una grande opportunità di studio perchè la grotta conserva fossili che altrimenti sarebbero andati perduti all’esterno, ma come non pensare ad una impronta di dinosauro in una cavità del Trentino che posiziona quella porzione d’Italia ben salda all’Europa continentale settanta milioni di anni fa quando invece si pensava che fosse posta sott’acqua o tuttalpiù su un isola!
La paleontologia studia gli animali del passato, ma per studiare i resti umani trovati in grotta servono gli antropologi, e sono migliaia le testimonianze eccezionali dell’esistenza di resti e di tracce lasciate dall’uomo preistorico in grotta. Da Lescaut ad Altamura, passando per le grotte francesi, ai Balzi Rossi, ricostruiamo la storia dell’umanità leggendo graffiti, focolari, resti di cibo, sepolture, reperti ossei, utensili. Arriviamo a capire l’intelligenza dei Neanderthal dalle loro rappresentazioni in grotta, e il gusto raffinato dei nostri progenitori che suonavano flauti ottenuti da ossi, si adornavano di gioielli, pietre, monili, seppellivano i loro morti, adoravano la Madre Terra nel profondo delle grotte.
Le grotte non sono state abitate solo in periodi preistorici, ma anche in epoca storica, fino ai giorni nostri, quando l’uomo è andato anche a modificare il sottosuolo e a realizzare opere sotterranee: da piccole stanze sotterranee, rifugi, ripari, a luoghi di culto, ad acquedotti, miniere, trafori, passaggi segreti, opere ferroviarie, opere militari, trincee, fortificazioni. La speleologia in cavità artificiali è una grande branchia della speleologia che per sua costituzione e ragione d’essere è esclusivamente speleologia scientifica: Archeologia e geologia la fanno da padroni, ma è necessario essere dei bravi architetti, degli storici, dei ricercatori da biblioteca, a volte è utile conoscere il latino, e se si tratta di miniere entriamo nell’ambito dell’arte mineraria. La speleologia in cavità artificiali o speleologia urbana necessita di conoscenze specifiche che spesso non sono richieste allo speleologo classico che frequenta le grotte naturali.
Siamo un pò avanti ormai nel discorso, e mi accorgo di aver omesso una grande fetta di studi scientifici che si possono e si devono effettuare dentro le grotte, necessari per capire come si sono evolute le forme di vita che troviamo quasi sempre nelle grotte. Il biologo diventa esperto di biospeleologia e non mi riferisco solo ai pipistrelli, che costituiscono l’animale simbolo del mondo sotterraneo, ma ad una infinita varietà di forme più semplici: insetti, ragni, farfalle, crostacei, a vote anche piante, funghi e muffe, cioè a resti di antichissime forme di vita che in seguito a cambiamenti climatici hanno trovato un luogo favorevole per la loro esistenza nelle grotte, adattandosi all’ambiente sotterraneo buio e scarso di risorse alimentari, arrivando a comportare la formazione di mutazioni che hanno diversificato talmente tanto le generazioni successive della popolazione da farle diventare una specie a parte, diversa geneìticamente dalle specie esterne. Pesci ciechi, farfalle che non volano, insetti trasparenti, uno zoo bizzarro e incredibile che testimonia quanto sia possibile trovare vita ovunque.
La speleologia si sta spingendo sempre più in territori inesplorati: Non solo grotte, ma luoghi alieni, estranei al nostro mondo anche se sulla superficie della Terra, parlo dell’esplorazione delle cavità presenti nei ghiacciai, una materia giovane e affascinante: la glaciospeleologia, che studia l’evoluzione delle grotte glaciali, non solo dal punto di vista della chimica, perchè anche qui riusciamo a capire la costituzione chimica della neve caduta centinaia di migliaia di anni fa, ma anche a leggere le dinamiche di movimento dei ghiacciai, del loro scioglimento, di come si muove l’acqua al loro interno, di perchè si può trovare acqua che si trova allo stato liquido a temperature al di sotto dello zero.
Lo studio del mondo sotterraneo comporta una conoscenza enciclopedica che pochissimi hanno, e sono davvero pochi quelli che possono definirsi speleologi completi: esploratori, studiosi e divulgatori di una infinità di materie che si intrecciano in quella nostra piccola porzione di mondo soterraneo nascosto ai più.
Questo io credo che sia uno Speleologo, uno che si fa domande su questi argomenti, anche senza parlare di corde e di attrezzi, anche senza andare dentro le grotte e che poi porta fuori la conoscenza del mondo sotterraneo per metterla a disposizione di altri.
In tutto questo discorso che mi sono praparato per descrivere la speleologia scientifica, in ogni momento ho pensato ad un grande personaggio che ho avuto la fortuna di conoscere e che ogni speleologo italiano leggendo quanto scritto sicuramente ha ricordato e riconosciuto in qualche passaggio. Mi sento orfano di una grande luce, una guida, una figura immensa, uno che sapeva guardare molto più avanti perchè non smetteva di farsi domande e cercare risposte.
Non mi sento in grado certo di raccogliere neanche la minima parte della sua grande eredità, e non so chi sarà in grado di farlo in futuro.
A lui, a chi lo ha conosciuto, apprezzato, amato, è dedicato questo mio piccolo articolo; siate portatori di luce e cercatori di conoscenza come lo era lui.
Ciao Giovanni. Ci manchi.