Riflessioni semi-serie sulla speleologia esplorativa trasversale di ELISA PONTI

Sono nata nel gesso. Per l’esattezza nella Vena del Gesso Romagnola e quindi per me gli “abissi” erano le grotte frequentate nei primi anni di speleologia che al massimo raggiungono i 150 metri. Anche se ne c’è solo una in Romagna, l’Abisso Bentini o F10, tutte le altre sono ancora meno profonde. Lascia stare che c’è il fango, ci sono le strettoie … ma la profondità mi mancava!

Ma non mi manca per una vana ricerca del record, tutt’altro mi interessa conoscere la grotta in tutti gli aspetti anche i retroscena psicologici che ci spingono così lontano dai comfort della vita di tutti i giorni. Quindi non perseguendo fini agonistici, ho iniziato a viaggiare nell’Italia speleologica divertendomi a conoscere la diversità delle grotte ma soprattutto a conoscere gli speleologi che la frequentano. In questo tour speleologico, le grotte profonde hanno avuto sempre un alone di irragiungibilità per me abituata a grotte a volte anche tecnicamente difficili da percorrere ma di certo non impegnative per le profondità. Diciamoci la verità, da pigra atavica le temevo proprio!

La domanda che mi ponevo era sempre quella: ma una volta toccato il fondo, riuscirò ad avere le forze per uscirne? Il pensiero di essere imbarellata dal CNSAS per sfinimento era troppo imbarazzante per mettere questa tra le ipotesi di salvataggio. Dovevo riuscirci da sola e quindi con un po’ di allenamento. Ma soprattutto mi serviva l’occasione giusta per vincere il mio timore.
L’occasione me la offre un corso che viene organizzato in marzo a Casola con l’Associazione Speleopolis, in tecniche di rilievo. Invitiamo tra i docenti Marco Corvi, sviluppatore dell’app Topodroid, e dopo una simbiosi formativa durata due giorni, quasi per scherzo gli chiedo “Mi porti a W le Donne?”. L’ignaro speleologo ancora non sapeva a cosa sarebbe andato incontro rispondendomi “Si, si può fare”. Organizziamo per andare in occasione del ponte del 25 aprile.

Parto il 22 da Forlì, svegli alle 6. treno per Bologna, cambio per Milano e poi ancora cambio per Lecco. Arrivo alle 11,30 in stazione dove da un po’ mi sta aspettando il Corvo. Il mio treno era in ritardo. Avrebbe ancora potuto salvarsi e invece no. Mi aspetta.

Da Lecco arriviamo in Val Sassina dove abbandoniamo l’auto per avvicinarci a piedi al rifugio Bogani percorrendo un primo dislivello da 1200 a 1700 metri s.l.m.; appena fuori dal parcheggio incontriamo dei ragazzi che si stanno preparando ad un weekend di puro relax, birra e salsiccia cucinata sul fuoco. Tento di aggregarmi a loro ma il Corvo mi richiama all’ordine. Dobbiamo andare!
Arriviamo al rifugio, sono sudatissima perché è una bellissima giornata ed è un gran caldo. Una breve sosta rinfrescante, uno scambio di battute coi rifugisti e poi si va al “pollaio”. Cos’è?

Era un vero e proprio pollaio ma ora, dismesso dai rifugisti, è diventato il magazzino di supporto alle esplorazioni del progetto inGrigna! Tra sacchi, corde, catene di moski, bulacchi enormi pieni di viveri e tanto altro materiale il Corvo mi passa delle pulegge nuove. E’ il benvenuto per W le donne! Comincio a capire che sto andando a -900 m1.; il Corvo mi riferisce che “rifai” tutti gli attrezzi in appena una stagione da queste parti.

Il progetto Ingrigna! È un bel progetto trasversale, democratico di esplorazione speleologica che oramai prosegue da svariati anni e che è raccontato attraverso un blog dove tutti i partecipanti possono lasciare il loro contributo e che potete consultare su http://ingrigna.altervista.org/.

Dal “pollaio” ci carichiamo in spalla un sacco vuoto e un sacco con le nostre attrezzature e affrontiamo gli ultimi 200 metri di dislivello prima di entrare in grotta: ma dove diavolo è l’ingresso di W le donne? Salendo gli ultimi metri osservo la geologia del territorio, le doline, forse una è quella della nostra grotta, ma no, il Corvo punta il dito verso la cresta. C’è ancora da camminare un po’. Sono sveglia dalle 6 ed ho macinato km e km … sono già stanca!

Arrivati finalmente di fronte all’ingresso, ci cambiamo ed iniziamo la discesa. A parte qualche tratto in libera, la progressione è tutta su corda. Pozzi, pozzi e ancora pozzi. Ambienti vastissimi. Uno in particolare cattura la mia immaginazione: Utopia.

Andiamo spediti, non ho molto tempo per osservare, penso tra me e me, lo farò in fase di risalita, sorridendo per l’immagine che mi si sta formando in testa: io che lentamente riemergo da quell’abisso e per non dare a vedere che sono stanca morta mi diletto a descrivere la morfologia della grotta e a individuare esemplari di fauna ipogea etc … ma intanto una constatazione: anche scendere non sempre è veloce e senza fatica.

Quando le corde sono lunghe e rigide il discensore non scorre, devi sempre dargli corda. Lungo la discesa incontriamo altri speleo che partecipano al progetto: sono veneti e liguri.

W la speleologia trasversale!

In 6 ore siamo al campo base a -900. Sono le 11 di sera e fin qui tutto bene.

Al campo base ci sono due tende, una chiusa occupata da alcuni “misteriosi” speleo, l’altra è quella che ci ospiterà. E’ anche questa occupata da una parte della squadra di punta che l’indomani alle 6 partirà verso il fondo a circa 1250 m, perché dopo lo svuotamento del sifone l’esplorazione è ripartita. Sul fornellino da campo c’è ancora una pentola con una cena ancora tiepida: dei tortellini affogati in acqua insipida.

Non potete capire la bontà di quella cena!

Dopo cena ci mettiamo subito dentro i sacchi a pelo, con i nostri sottotuta, ci sono 4 gradi, meglio stare caldi. Giusto il tempo di augurare la buona notte a tutti, augurandomi di riuscire a salutare i “puntatori” l’indomani, che immediatamente crollo.

La mattina alle 6 scopro che era nella tenda misteriosa: l’eroe pugliese! Lo saluto perché stanno partendo verso le zone fangose e ritorno a dormire. Penso dentro me “quanta passione per partire dalla Puglia, arrivare fino a lassù per poi stare anche più giorni qua sotto”. Forse è per questo che lo hanno chiamato “eroe”.

Al risveglio, facciamo colazione e prima di ripartire riempiamo la seconda sacca di materiale di scarto ed altri oggetti da riportare fuori. Il Corvo è perplesso, riflette su come gestire il campo e l’esplorazione senza che questa grotta diventi “l’Everest della speleologia” come aveva intitolato il suo intervento nel n. 29 del blog “La Grigna al contrario” (w-le-donne-marzo-2017).

E’ ora di ripartire per risalire, fino all’uscita, come i nostri sacchi e con l’intento di misurare la temperatura dei pozzi per raccogliere dati di campionamento. Mi sento già stanca all’idea, non è proprio una stanchezza fisica. Molto più mentale. Un freno. Come la paura che ci ostacola e non ci fa perseguire i nostri obiettivi, così le cose più grandi di noi, come la natura e le forze che la governano, sono spesso soverchianti sull’uomo. Ma questa paura è anche un freno alle intemperanze fortunatamente. Va solo ricercato un equilibrio.

Il resto ve lo risparmio ma sappiate che il Corvo ha battezzato al mia performance come la “best underperformance in caving” citando ironicamente un video virale che mostra le vicende dell’atleta olimpico Eric “l’anguilla”. Andatevi a leggere la sua storia ma soprattutto a vedere il video della sua performance di nuoto. Esilarante!

Quindi non vi dirò delle “preghiere” del Corvo di “darmi una mossa”, non vi dirò della sosta all’Oasis camp (una vera oasi), non vi dirò che ad un certo punto ho smollato il secondo sacco a lui che così ne aveva tre ed io uno solo, non vi dirò che ad un certo punto mi è arrivato a noia il movimento meccanico e ritmato del pedale-maniglia, non vi dirò che l’elastico citato da Badino stava rispedendomi su sempre più con spinta più vedevo la fine di questa avventura. Agognavo il mondo esterno, desideravo vedere la luce. Ma ero anche contenta di avere provato questa esperienza. Ora che ho visto e provato sulla mia pelle quello che si riesce a fare solo con un po’ di determinazione credo avrò meno timore in futuro delle grandi profondità. Mi si è aperto un orizzonte, nuove possibilità esplorative un po’ come se fossi andata oltre il mio “fondo” psicologico ed ora ci fosse davanti a me un nuovo meandro e poi ancora nuovi pozzi …

Fuori dalla grotta, ci prepariamo a tornare al rifugio. La promessa di una ricompensa in cibo e buon vino e la sensazione di forza che ci viene data dalla idea di aver superato i proprio limiti, seppur mentali o fisici che siano, mi fa andare spedita verso il Bogani. Li ci aspettano i rifugisti che accordano sempre una calda accoglienza agli speleo di Ingrigna! E ci aspettano anche degli ottimi tortelli di patate, un bel bicchiere di rosso e per finire torta e ginepì. Ecco che mi sento rinata e la mia voglia di parlare riemerge prepotentemente. In grotta sono stata molto più silenziosa del mio stato normale. Ma arrivati al rifugio incontriamo degli escursionisti che avendo capito da dove stavamo arrivando hanno cominciato a farci mille domande a cui noi prontamente diamo risposta. Perché speleologia è anche questo, anzi l’etimo stesso della parola suggerisce uno dei suoi scopi principali: parlare di grotte!

E qui finisce la storia della mi prima grotta profonda. Il resto, grazie all’ospitalità di Marco, è una giornata di relax sulle rive del lago di Varese in un giorno di pioggia. Grazie! Soprattutto per la sua quasi inesauribile pazienza. Forse la prossima volta ci penserà due volte prima di elargire inviti.

A parte gli scherzi, il mio invito è di partecipare ai campi esplorativi, vicino a casa o lontani, del proprio gruppo o di altri gruppi trasversali perché arricchisce se si è fortunati la Speleologia ma soprattutto ci si arricchisce personalmente, si creano relazioni, si diventa amici.

Infografica W le Donne!

Buona esplorazione!
Ep

Di

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