E’ precipitato sulle placche della Draye, parete d’arrampicata nella valle d’Ailefroide, nel gruppo francese degli Ecrins, Alpi del Delfinato. Roberto Bonelli, 62 anni, uno dei più rappresentativi arrampicatori italiani degli anni Settanta e Ottanta, torinese, è caduto mentre stava preparando la corda doppia per scendere, dopo aver salito la via “Spit on Cup”. Un itinerario piuttosto agevole, che infatti lui, abituato a ben altre difficoltà sulla roccia, aveva salito senza problemi. La discesa, per tornare al sentiero che riporta a Ailefroide, è complessa. Prevede una prima doppia di 7-8 metri fino a un terrazzino roccioso, poi un’altra di una trentina di metri. Ma al momento di attrezzare la seconda calata, Bonelli è scivolato e caduto. Per lui non c’è stato nulla da fare.
Roberto Bonelli aveva cominciato ad arrampicare, subito ad alto livello, all’inizio degli anni Settanta. Come tanti altri in quel periodo, soprattutto nell’ambiente piemontese, rompendo con la tradizione dell’alpinismo classico, sull’onda dei fermenti del Sessantotto. Bonelli, con altri personaggi del calibro di Andrea Gobetti, Max Demichela, Danilo Galante, Gabriele Beuchod, è tra i protagonisti dell’epopea del Mucchio selvaggio – e di quella parallela del Nuovo mattino, raccontato dal guru Gian Piero Motti – che sovverte le regole dell’arrampicata e spinge avanti l’asticella delle difficoltà. Calzando le prime scarpette di tela con la suola di gomma flessibile, che sostituiscono i pesanti scarponi di cuoio, Bonelli apre nel 1974 la Fessura della Disperazione sul Sergent, nella valle dell’Orco, assieme a Danilo Galante e Piero Lenzi. E poco distante nel 1978 riesce a ripetere l’impossibile fessura del Masso Kosterlitz, spaccatura verticale di nemmeno dieci metri, in un sasso cubico sul bordo della strada, che aveva messo alla prova i migliori arrampicatori dell’epoca. E poi, appassionato di speleologia, si distingue nell’esplorazione di molte importanti grotte ma è anche in prima fila in alcune operazioni di soccorso. Nel 1984 firma con Giovanni Badino una guida per Zanichelli su “Gli abissi italiani”.
Una carriera velocissima e adrenalinica, negli anni Settanta, poi un lungo periodo in cui abbandona la montagna, come ricorda un suo compagno di cordata, Piero Pessa: “Abbiamo cominciato assieme e assieme abbiamo smesso di arrampicare. Poi si è ricominciato e di nuovo abbiamo fatto tante vie. Conosco il luogo dove mi hanno detto che è caduto, anch’io ho fatto quella via e in effetti la discesa è complessa. Ma che Roberto sia caduto mi sembra incredibile”. E Giulio Beuchod, anche lui un compagno di quel periodo ormai lontano e un po’ folle, oggi guida alpina, si meraviglia che Bonelli possa aver sbagliato qualcosa: “Era prudentissimo, quasi maniacale nel piazzare rinvii e sicure. Come invece quarant’anni fa rischiava sempre e comunque. E’ stato un grande arrampicatore, uno che ha lasciato il segno”.
Dopo il periodo d’oro del climbing negli anni Settanta e in parte degli Ottanta, Bonelli era stato fra i primi a introdurre il torrentismo tra gli sport outdoor, la discesa di ripidi corsi d’acqua oggi più conosciuta con il nome di canyoning. Con Paolo Oliaro si appassiona alle discipline d’acqua selvaggia, scendono per la prima volta l’orrido di Foresto, quello di Oulx, si lanciano in torrenti impetuosi con l’hydrospeed e il kayak.
“Era poliedrico – ricorda Oliaro – e curioso. Gli era piaciuto moltissimo scoprire l’arrampicata in Africa, siamo scesi assieme nell’Hoggar e in Camerun. Ma non posso credere che sia morto per un’imprudenza. Era l’uomo più attento che io abbia mai conosciuto. Mi buttava via le corde quando gli sembrava che fossero vecchie”.
Più di recente, tornata la passione per l’arrampicata, commerciava in mobili antichi e oggetti d’arte a Torino.
http://torino.repubblica.it/cronaca/2016/09/11/news/roberto_bonelli_precipita_nel_gruppo_degli_ecrins_protagonista_dell_arrampicata_anni_settanta-147574314/

Di

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *