Notizia di Michele Tommasi

Giornale di Vicenza di Martedì 25 Novembre 2003



Sorpresa dal ritiro di una lunga lingua del ghiacciaio a quota 3 mila metri Il direttore del parco delle Dolomiti ha interpellato gli esperti speleologi del Vicentino per una prima esplorazione



Ecco il segreto delle Tofane Il gruppo “Proteo” scopre una cavità enorme in quella di Mezzo



di Giancarlo Marchetto



Da oltre un decennio i soci del Club speleologico Proteo di Vicenza, un’istituzione a livello nazionale nella ricerca speleologica, setacciano le Dolomiti ampezzane, in particolare l’area del parco naturale di Fanes, Sennes e Braies, alla ricerca di fenomeni ipogei. Le Dolomiti rappresentano in
effetti la nuova frontiera dell’esplorazione speleologica, un giacimento sconosciuto appena vent’anni orsono. Le estati torride di questi ultimi anni, che tante preoccupazioni danno ad ambientalisti e climatologi a causa della sparizione dei ghiacciai, hanno prodotto almeno un risultato positivo, quello di permettere agli speleologi di localizzare nuove grotte alle alte quote. Così è successo per la “Busa del Can” in Altopiano dei 7 Comuni, cavità altrimenti inesplorabile senza lo scioglimento del tappo di ghiaccio fossile che l’occludeva; addirittura strabiliante, poi, quanto è stato rinvenuto sulle Tofane di Cortina d’Ampezzo. A seguito del ritiro di una vasta lingua di ghiaccio sulla Tofana di Mezzo, a quasi 3 mila metri di quota, è rimasta in bella vista un’impressionante depressione, una sorta di caldera entro la quale si apre una voragine il cui diametro è pari a ben 7 metri. La segnalazione di questa nuova cavità era arrivata all’orecchio di Michele Da Pozzo, il direttore del parco regionale delle Dolomiti Ampezzane, seguendo le indicazioni di alpinisti ed escursionisti. Dopo il sopralluogo, Da Pozzo ha deciso di interpellare gli speleologi vicentini del “Proteo”, i quali hanno prontamente risposto all’invito. Il presidente del Gruppo, Paolo Verico e con lui Roberto Farinati, Francesco Coccimiglio ed il geologo Luca Dal Molin sono risaliti in funivia sino alle piste da sci della Tofana di Mezzo e in poco più di un’ora di cammino, attraverso una ferrata, sono giunti alla cavità inesplorata che come un grande occhio si apre a quasi 3.000 metri di altitudine a poca distanza da un laghetto glaciale di circa 30 metri di diametro. «Abbiamo lavorato attorno all’imbuto per poter mettere in sicurezza la grotta e non correre rischi di trovarci investiti di pietrame – spiega Farinati – in quanto dentro la voragine piovono in continuazione sassi e detriti. Il lavoro di disgaggio, comunque, non ha eliminato i rischi di continua caduta di sassi nella grotta. Dell’antico ghiacciaio che mascherava la grotta sono rimaste poche tracce sotto i detriti rocciosi». Nella cavità si sono calati Verico e Farinati. Lungo il pozzo sono scesi per circa 70 metri e lo hanno sondato visivamente fino a oltre cento, poi l’acqua nebulizzata della cascata ha reso impossibile la prosecuzione. «Attraverso la roccia il laghetto scarica le proprie acque dentro la grotta – racconta Farinati – e dal fondo soffia verso l’esterno un vento impressionante che atomizza l’acqua creando una miscela aerea irrespirabile. Per questa ragione sono riuscito a scendere sino a 70 metri di profondità, poi le difficoltà respiratorie mi hanno obbligato a risalire, ma ho avuto modo di fare alcune valutazioni sensazionali. Ho potuto appurare che il pozzo iniziale, la cui larghezza è di circa 7 metri, a circa 100 metri di profondità presenta una strozzatura con un piccolo basamento sul quale mi è sembrato di aver individuato qualcosa di strano, potrebbe essersi trattato di un reperto bellico; poi ho raccolto un sasso di notevoli dimensioni che ho lasciato cadere. Il masso è andato a sbattere sul basamento a meno 100 metri, poi più nulla. Ho ripetuto più volte l’operazione sempre con lo stesso risultato». La voragine è costituita da una condotta carsica ipogea verticale che si è formata sotto il deposito morenico che cinge la valle. Al di sotto della morena addossata al piccolo ghiacciaio, vi è un basamento di rocce calcaree che appartengono alla formazione dei calcari grigi del Lias, che a loro volta sovrastano uno spessore importante di Dolomia Principale. Entrambe queste formazioni geologiche subiscono l’erosione dell’acqua e quindi sono soggette a fenomeni di carsismo. La presenza di grandi e profondissimi pozzi, sul fondo delle conche abbandonate dai ghiacciai, sembra legato alla alta aggressività delle acque di fusione. La stessa situazione è stata riscontrata anche sul Pelmo. Ora per gli speleologi si apre la stagione delle ricognizioni in tutte queste aree di caratteristiche simili. La violenza del vento all’interno della cavità lascia intendere che il fenomeno carsico ancora senza nome sia di proporzioni straordinarie, uno dei più importanti delle Dolomiti. Nel pomeriggio la cascata d’acqua, che dal laghetto fuoriesce nella grotta, è raddoppiata d’intensità e per gli speleo berici la scelta obbligata è stata quella di abbandonare l’esplorazione. Purtroppo per gli speleo del Proteo l’avventura non è finita lì. Dopo aver passato la notte nella cabina della teleferica, a causa dell’imperversare del maltempo, il giorno seguente la teleferica non è stata messa in funzione bloccando così gli speleologi in quota. La tormenta di neve ha poi vanificato il loro tentativo di discesa a piedi ed il rientro è stato rimandato al giorno seguente. L’esplorazione della cavità per carpirne i segreti è rinviata a quest’inverno, quando il freddo farà gelare l’acqua del laghetto ed i rischi per gli speleologi saranno molto più contenuti. (g.m.)



Eccola la voragine dei record. È apparsa improvvisamente sulla Tofana di Mezzo ed è lì che incute timore (per i non addetti ai lavori) ma una cosa è certa, si sa dove inizi ma sino a che quota penetri nel sottosuolo è ancora un mistero. Un mistero però che agli speleologi del Proteo fa salire l’adrenalina quando si affacciano all’impressionante imbuto d’accesso, e che ancor di più fa gongolare quando nel piantare gli spit (chiodi ad espansione) per la discesa in grotta, vengono investiti da una bufera di vento ed acqua sintomo inequivocabile che il fenomeno carsico ha dimensioni inimmaginabili. Si è appena spenta l’eco dei festeggiamenti per i 40 anni di vita del Club ed il catasto speleologico veneto ha giusto censito la cavità numero 7000, quand’ecco arrivare la scoperta che ha fatto schizzare dalle sedie i soci del gruppo e ingenerato un sentimento d’invidia misto ad ammirazione negli altri gruppi della regione.

Non si trova in territorio vicentino che del resto al momento detiene i record regionali della cavità più profonda (Abisso di Malga Fossetta nell’Altopiano dei 7 comuni con -974 metri) e di quello più esteso sul piano orizzontale (Buso della Rana con 26.266 metri) ma motivo di orgoglio è dato fatto che per definire morfologicamente la nuova cavità la direzione del Parco delle dolomiti Ampezzane ha affidato il compito ai vicentini del Proteo.

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