Speleologia e tutela del territorio sono due argomenti strettamente connessi e se pure la prima disciplina si svolga “al di sotto della terra” attraverso l’esplorazione la seconda necessità di gran parte dei dati presi sul campo dalla prima – e da altre discipline e professioni – per poter elaborare delle soluzioni ad hoc per difendere un sito.
Purtroppo nella regione più franosa d’Italia, con oltre 2.000 km di territorio interessato da dissesti, non si studia più il territorio e quella parte di dati che la speleologia, e non solo, può fornire rischiano di restare vani dal momento che la fase successiva, e cioè quella dell’elaborazione dei dati raccolti, pare non stia più funzionando!
La situazione nell’Appennino emiliano-romagnolo è diventata critica – è di poco fa la notizia del sollecito del governatore Errani al neo-premier Letta – ma anziché fare un passo avanti per tutelarsi dagli eventi, i dipartimenti di geologia e quelli connessi allo studio del territorio chiudono, nonostante le oltre 1000 segnalazioni di dissesti da parte dei cittadini. Negli ultimi tempi si sono registrate 23 interruzioni totali di strade che hanno portato all’isolamento di 20 località e delle relative abitazioni; 30 edifici sono stati completamente distrutti o danneggiati gravemente e 70 persone sono state evacuate con un conseguente danno stimabile in circa 120 milioni di euro.
A detta di un esperto di geologia come il docente dell’Università degli Studi di Firenze, il Prof. Geologo Nicola Casagli, le frane mappate sono circa 70 mila (davvero tante!) e molte di esse di notevoli dimensioni, fino a svariati chilometri quadrati di territorio.
Si stima che ben 1/5 delle zone collinari e montuose della Regione Emilia-Romagna, siano soggette a frane, e su un percorso di 2.161 Km di strade oltre 600 sono interessate da frane cosiddette “attive” e quindi pericolosissime per i fruitori.
È la provincia di Parma a detenere il triste primato regionale di strade in zona franosa.

Una delle numerose frane che si verificano nel parmense.

Cosa si sta facendo al momento per proteggere il territorio emiliano-romagnolo da questo problema?
Nulla a quanto pare, anzi, peggio, le Università chiudono i battenti o limitano le ricerche per mancanza di fondi o altro.
Bologna è la culla dell’Università più antica del pianeta e proprio qui venne coniato nel 1603 il termine “geologia”, da parte dello studioso Ulisse Aldovrandi, eppure oggi è impotente a reagire al dissesto del proprio territorio.
L’allarme per la grave situazione è stato lanciato anche dal presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, il Dott. Gian Vito Graziano che oltre a constatare un evidente calo degli iscritti nelle facoltà legate alla Geologia ne prevede un rapido riscontro negativo che si potrebbe ripercuotere su tutta la nazione: pochi laureati e oltretutto pochi che diventano poi in seguito alla laurea esperti potendo frequentare effettivamente corsi di specializzazione che li rendano atti a lavorare sul territorio per tutelarlo.
Purtroppo le recenti riforme universitarie hanno penalizzato un po’ tutte le facoltà e soprattutto l’Università pubblica, inoltre vengono spesi sempre meno soldi per la ricerca e per finanziare i lavori finalizzati alla messa in sicurezza che oltre a tutelare l’incolumità degli abitanti di questa regione innescherebbero anche un sistema di incremento delle attività lavorative con conseguente risveglio dell’economia locale.

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