Sabato 13, alcuni ragazzi non vedenti appartenenti alla ONLUS “Albatros progetto Paolo Pinto”, Associazione con sede a Bari, già impegnata nell’ambito subacqueo, accompagnati da un gruppo di speleologi del GASP! appartenente al CAI sezione “Donato Boscia” di Gioia del Colle, si sono avventurati nei meandri della terra percorrendo gli stretti cunicoli della grotta orizzontale Zaccaria di Ostuni.
Per meglio comprendere la portata dell’iniziativa va spiegato lo spirito che anima una Associazione, quella dedicata a Paolo Pinto: nata nel 2005 allo scopo di perpetuare la memoria di un uomo che ha usato lo sport ed il nuoto, eccellendo, come veicolo per l’integrazione fra i “diversi”, avendo egli stesso sperimentato la cecità a causa di una malattia che lo ha poi prematuramente condotto alla morte. Sua moglie, Angela Costantino, ha voluto che questo percorso non fosse vano e che potesse rappresentare un nuovo orizzonte per i ragazzi non vedenti. Per questa ragione si è studiata una didattica con cui condurre i ragazzi sott’acqua attraverso una metodologia che permettesse loro una certa libertà, mediante un istruttore”cane guida”. Il caso ha voluto che uno di essi fosse anche un esperto speleologo, appartenente al gruppo GASP! – CAI di Gioia del Colle, Vincenzo Ladisa, il quale dopo aver affrontato con i ragazzi l’elemento acqua per 7 anni, ed avendo con loro uno stretto rapporto di fiducia, ha voluto tuffarsi nella roccia.
Ciò che è venuto fuori è una sorprendente trait d’union, un’avventura che sarebbe limitativo relegare all’ambito dell’esplorazione, le emozioni che hanno animato i ragazzi non vedenti e gli stessi speleologi coinvolti, hanno creato una sorta di grande bolla di condivisione e gioia, all’interno della quale la disabilità ha insegnato, perchè scendere in profondità nelle cose, così come nella terra, è un ambito in cui i non vedenti si muovono spesso meglio dei “normodotati”.
Betta, Ely, Gregorio, Graziana, Davide e Vito, sono stati condotti dai ragazzi del GASP!, a cui hanno affidato le proprie mani, nell’osservazione delle stratificazioni della roccia, all’imboccatura della Zaccaria, per poi procedere, spesso carponi, nelle zone più remote ma anche più belle e suggestive dove stalattiti, stalagmiti, colonne, eccentriche sono state mirabilmente e delicatamente accarezzate perché la fantasia dei ragazzi traducesse l’innegabile bellezza.
“Un’esperienza, primordiale! strisciare, passare attraverso i cunicoli abbracciato da stratificazioni di roccia millenaria è emozionante” ci riporta Ely all’uscita dalla grotta, stremata ma felice. Betta di slancio, appena fuori, in un abbraccio che racconta il superamento di un nuovo limite, ha ringraziato il suo istruttore Vincenzo raccontandoci poi di come toccare e percepire l’ambiente intorno a se con tutto il corpo non solo con il tatto delle mani è una emozione davvero forte. Emozioni, stesso termine usato da Davide, tante ed uniche e sicuramente da ripetere, anche Graziana, nonostante la fatica, sarebbe pronta a riprovarci, anche perché dice di aver avuto un conduttore davvero speciale, un Angelo di nome e di fatto.
Gregorio, l’unico ipovedente del gruppo, ci racconta di aver potuto osservare la bellezza di un mondo sotterraneo sconosciuto e laddove non è arrivato con la vista ha viaggiato con la fantasia, Vito, infine, ci racconta di un’esperienza che consiglierebbe a tutti i non vedenti.
Gratitudine e fiducia, questi i due termini che hanno unito a filo doppio i due gruppi fornendo loro emozioni travolgenti, anche per gli speleologi coinvolti, giunti ad Ostuni da diverse zone della Puglia e facenti parte anche di altre Associazioni, come il “Gruppo Grotte Grottaglie” e gli “Amici delle gravine di Castellaneta”, i quali, nonostante fossero “esperti” dell’ambiente hanno imparato molto da questa esperienza.
Il nostro sguardo, quello dei “normodotati” , li, sotto terra, in un certo senso rappresenta un limite, ci si fida dell’osservazione, convinti che basti aver visto per aver vissuto e conosciuto la verità delle cose, ma spesso lo sguardo è superficie, è crosta, non va oltre. Osservare la roccia con le mani, percepirne calore, umidità, rugosità, fenditure, annusare l’acqua, la terra, immergersi nel silenzio più profondo, strisciare nei cunicoli avendo cura di memorizzare ogni spuntone, perché nella maggior parte dei casi, in grotta c’è un’andata e un ritorno, tutto ciò equivale ad andare giù nel profondo dell’esperienza, molto più giù di quanto uno sguardo possa permettere.
Anna Molfetta